di Giosué Bove
La ricostruzione della strage di Castelvolturno, propugnata da ambienti della Questura e diffusa ampiamente dai mass-media, si è mossa in maniera pregiudiziale nel solco del “regolamento di conti” e della “spedizione punitiva dei Casalesi contro chi tenta di 'mettersi in proprio' nel traffico di droga nella zona”. E' una ricostruzione di comodo, perfettamente adeguata al clima razzista del “pacchetto sicurezza” del governo Berlusconi. In realtà dalle decine e decine di testimonianze raccolte le vittime del raid nella sartoria erano sarti, barbieri, pittori, operai e braccianti “con i calli alle mani”, completamente estranei al traffico di droga e dunque, probabilmente, o erano persone “nel posto sbagliato al momento sbagliato” oppure i killer dei Casalesi hanno voluto dare all'intera comunità un segnale chiaro di feroce determinazione nel controllo del territorio, e dunque la strage potrebbe essere collegata alla nuova ondata di estorsioni che si sta abbattendo sulle attività di quelle aree. Ma di questo pochi parlano, sottovoce, (anche se qualche indiscrezione sui giornali, in particolare su “Il Mattino” c'è stata) perché è più semplice dire che si sono “ammazzati tra di loro”. Lo stragismo della camorra dei casalesi, del resto appare non più un dato occasionale ma una vera e propria strategia: volumi di fuoco altissimi per obiettivi limitati.
Anche la rivolta è stata presentata con il cliché della violenza improvvisa e ingiustificata. “Se è stata la camorra, che c'entra Castelvolturno, che c'entrano le auto, i cartelli stradali, le vetrine?” si sono domandati i bianchi del litorale e i benpensanti della serie: “io non sono razzista”. Non ci vuole molto a capire che quei ragazzi morti, di cui fino ad ieri è stato difficile perfino sapere i nomi, (perché quando muore un italiano bianco c'è sempre il nome e cognome, quando muore un nero non ce n'è bisogno) sono la goccia che ha fatto traboccare un vaso colmo di disperazione, di violenze subite e accumulate, di razzismo, di sfruttamento e di oppressione insopportabile, aggravata adesso dal pacchetto sicurezza del governo Berlusconi, che di fatto oggi impedisce ad un immigrato senza permesso di soggiorno di denunciare una aggressione. Che da anni questi lavoratori che garantiscono le attività dell'edilizia e dell'agricoltura tra Caserta e Napoli sono privati da un ordinamento razzista dei documenti e di ogni diritto. Che sono sfruttati dai datori di lavoro, dai proprietari di casa, dai commercianti, derisi, spintonati sugli autobus, guardati di traverso, indicati come “spacciatori”, gli uomini e “puttane” le donne. E allora c'entra tutto: c'entra uno Stato che ha il volto feroce nei confronti dei migranti ma remissivo nei confronti dei poteri forti della imprenditoria criminale di quelle aree, come dimostrano ampiamente le confessioni peraltro rese pubbliche in questi giorni sull'Espresso e che individuano il legame stretto tra alcuni rappresentanti politici, alcune imprese, alcuni funzionari e il clan dei Casalesi. C'entrano i padroni di casa che spaccano la faccia di “Angela” (leggi questa storia), fino a farle saltar via i denti, per cacciarla dal misero locale in cui sopravvive con i suoi tre figli. C'entro gli speculatori che approfittano in ogni situazione del ricatto oggettivo in cui vivono i migranti. C'entrano gli imbecilli che offendono o spintonano i neri dentro gli autobus o che deridono i figli dei migranti nelle scuole e chiedono che vengano allontanati. E c'entra soprattutto questa società, in cui la divisione tra lavoratori bianchi e neri è funzionale all'ulteriore oppressione e sfruttamento degli uni e degli altri.
Per questo oggi non è data un'altra strada: al di là dei fatti specifici intanto noi siamo dalla parte della rivolta, perché mai come in questo caso, ribellarsi è giusto e con ogni mezzo possibile. Poi, certamente, vorremmo esser gentili, e proveremo ad esserlo. Ricostruendo, pietra su pietra, le ragioni della unità e della solidarietà di classe tra lavoratori e di una battaglia contro il comune avversario di classe. E chiedendo nel frattempo, come hanno fatto diversi lavoratori migranti durante la giornata della rivolta, che la sicurezza cambi verso e direzione, e che finalmente i migranti siano protetti dalla sopraffazione e della violenza dei potenti.
I lavoratori migranti sono la nuova frontiera dello sfruttamento, le braccia potenti di nuove accumulazioni di capitale; ma, sono, allo stesso tempo, anche il nuovo spettro che agita i sonni della borghesia, lo spettro di milioni di uomini e donne della periferia dell'impero che non possono dimenticare le offese dei padroni del mondo.
La ricostruzione della strage di Castelvolturno, propugnata da ambienti della Questura e diffusa ampiamente dai mass-media, si è mossa in maniera pregiudiziale nel solco del “regolamento di conti” e della “spedizione punitiva dei Casalesi contro chi tenta di 'mettersi in proprio' nel traffico di droga nella zona”. E' una ricostruzione di comodo, perfettamente adeguata al clima razzista del “pacchetto sicurezza” del governo Berlusconi. In realtà dalle decine e decine di testimonianze raccolte le vittime del raid nella sartoria erano sarti, barbieri, pittori, operai e braccianti “con i calli alle mani”, completamente estranei al traffico di droga e dunque, probabilmente, o erano persone “nel posto sbagliato al momento sbagliato” oppure i killer dei Casalesi hanno voluto dare all'intera comunità un segnale chiaro di feroce determinazione nel controllo del territorio, e dunque la strage potrebbe essere collegata alla nuova ondata di estorsioni che si sta abbattendo sulle attività di quelle aree. Ma di questo pochi parlano, sottovoce, (anche se qualche indiscrezione sui giornali, in particolare su “Il Mattino” c'è stata) perché è più semplice dire che si sono “ammazzati tra di loro”. Lo stragismo della camorra dei casalesi, del resto appare non più un dato occasionale ma una vera e propria strategia: volumi di fuoco altissimi per obiettivi limitati.
Anche la rivolta è stata presentata con il cliché della violenza improvvisa e ingiustificata. “Se è stata la camorra, che c'entra Castelvolturno, che c'entrano le auto, i cartelli stradali, le vetrine?” si sono domandati i bianchi del litorale e i benpensanti della serie: “io non sono razzista”. Non ci vuole molto a capire che quei ragazzi morti, di cui fino ad ieri è stato difficile perfino sapere i nomi, (perché quando muore un italiano bianco c'è sempre il nome e cognome, quando muore un nero non ce n'è bisogno) sono la goccia che ha fatto traboccare un vaso colmo di disperazione, di violenze subite e accumulate, di razzismo, di sfruttamento e di oppressione insopportabile, aggravata adesso dal pacchetto sicurezza del governo Berlusconi, che di fatto oggi impedisce ad un immigrato senza permesso di soggiorno di denunciare una aggressione. Che da anni questi lavoratori che garantiscono le attività dell'edilizia e dell'agricoltura tra Caserta e Napoli sono privati da un ordinamento razzista dei documenti e di ogni diritto. Che sono sfruttati dai datori di lavoro, dai proprietari di casa, dai commercianti, derisi, spintonati sugli autobus, guardati di traverso, indicati come “spacciatori”, gli uomini e “puttane” le donne. E allora c'entra tutto: c'entra uno Stato che ha il volto feroce nei confronti dei migranti ma remissivo nei confronti dei poteri forti della imprenditoria criminale di quelle aree, come dimostrano ampiamente le confessioni peraltro rese pubbliche in questi giorni sull'Espresso e che individuano il legame stretto tra alcuni rappresentanti politici, alcune imprese, alcuni funzionari e il clan dei Casalesi. C'entrano i padroni di casa che spaccano la faccia di “Angela” (leggi questa storia), fino a farle saltar via i denti, per cacciarla dal misero locale in cui sopravvive con i suoi tre figli. C'entro gli speculatori che approfittano in ogni situazione del ricatto oggettivo in cui vivono i migranti. C'entrano gli imbecilli che offendono o spintonano i neri dentro gli autobus o che deridono i figli dei migranti nelle scuole e chiedono che vengano allontanati. E c'entra soprattutto questa società, in cui la divisione tra lavoratori bianchi e neri è funzionale all'ulteriore oppressione e sfruttamento degli uni e degli altri.
Per questo oggi non è data un'altra strada: al di là dei fatti specifici intanto noi siamo dalla parte della rivolta, perché mai come in questo caso, ribellarsi è giusto e con ogni mezzo possibile. Poi, certamente, vorremmo esser gentili, e proveremo ad esserlo. Ricostruendo, pietra su pietra, le ragioni della unità e della solidarietà di classe tra lavoratori e di una battaglia contro il comune avversario di classe. E chiedendo nel frattempo, come hanno fatto diversi lavoratori migranti durante la giornata della rivolta, che la sicurezza cambi verso e direzione, e che finalmente i migranti siano protetti dalla sopraffazione e della violenza dei potenti.
I lavoratori migranti sono la nuova frontiera dello sfruttamento, le braccia potenti di nuove accumulazioni di capitale; ma, sono, allo stesso tempo, anche il nuovo spettro che agita i sonni della borghesia, lo spettro di milioni di uomini e donne della periferia dell'impero che non possono dimenticare le offese dei padroni del mondo.
Nessun commento:
Posta un commento