movimentazione / il dibattito

mercoledì 8 ottobre 2008

Non è finita ancora e nulla sarà come prima

di Antonio Casolaro
1.  non è finita ancora
Il susseguirsi delle cadute degli indici di borsa, con un crescendo che appare simile a quello successivo al giovedì nero del 24 ottobre 1929, dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che il capitalismo nella sua versione liberista si è dissolto nelle sue stesse contraddizioni. Ma attenzione la crisi del capitalismo finanziario è l’anticamera di quello cd reale e ben presto i settori produttivi riceveranno i terribili contraccolpi dell’incendio delle tesorerie di mezzo mondo. Nessuno è in grado di calcolare a quanto ammonteranno le perdite delle banche e quindi dei cd risparmiatori immolatisi all’altare del guadagno facile, orientati e diretti dalle bande dei single man delle agenzie finanziarie, i fighetti delle grandi o piccole agenzie degli investimenti, gli illusionisti dei guadagni a due cifre i sic, sic artefici magici dei rastrellamenti delle tasche dei creduloni di mezzo mondo abbacinati ed abbindolati dalle favole dei rapinatori di Wall Street, Piazza affari, Hong Kong, Londra, Francoforte, Parigi, Tokio, Shangai e così via. Per ora i ripari asimmetrici assunti dai “medici” accorsi al capezzale del moribondo pompano sangue nelle vene del capitalismo finanziario in coma, con fiumi di danaro fresco dirottati dalle banche centrali, assicurano i correntisti che non perderanno nulla (voglio proprio vedere alla fine se sarà così), udite, udite: nazionalizzano le banche in crisi quando fino a dieci minuti prima ad incominciare dal cavaliere sull’onda dello slogan in voga negli ultimi vent’anni (deregulation, deregulation si gridava da tutte le parti) liberalizzavano, privatizzando finanche i gabinetti delle stazioni tant’è che oggi per accedervi bisogna pagare dai 40 centesimi di Caserta all’euro di Roma.

Il cavaliere tronfio delle sue ricchezze ha continuato a dire fino a ieri, incontrando gli atleti che hanno conquistato l’oro alle olimpiadi di pechino, che ha salvato il paese dal comunismo, senza che nessuno dei presenti gli ricordasse che le sue “grandi”, imprese i suoi enormi guadagni a cominciare dall’attività di palazzinaro (milano due) fino a quello di editore e produttore televisivo, li ha realizzati in un paese dove era presente il più grande partito comunista (si fa per dire) dell’occidente.

Che cosa faranno il cavaliere ed il neo colbertista ministro del tesoro di fronte, per esempio, alla crisi dell’impresa di elettrodomestici Antonio Merloni che ha chiesto la CIG per ottomila dipendenti? Come risponderà alla sig.ra Marcegaglia che in presenza della chiusura dei rubinetti del credito da parte delle banche chiede allo Stato d’intervenire? Come agirà se la caduta di Unicredit continuerà (ieri il titolo è stato sospeso per eccesso di ribasso)? Cosa farà il cavaliere se anche ad ottobre le vendite Fiat saranno inferiori ai budget previsti dal dr. Marchionne e soci ?

Per ora a differenza del primo cavaliere della storia del bel paese che a Monaco nel 1938 si disse che salvò la pace, questa volta la sig.ra Merkel, ad onta dell’immenso fascino latino e dei trattamenti degli istituti di bellezza di mezza italia, al reuccio di Arcore poco è mancato che non gli sbattesse la porta in faccia.

E la vendetta di Marx si deduceva seguendo una trasmissione televisiva di lunedì sera cui partecipava da Parigi “il cattivo maestro” Tony Negri, che, a differenza del personaggio in cerca di autore, reduce dei ritiri di perseveranza sui monti d’olimpo tra i monaci ortodossi e che trova indicibile il termine comunismo, ne sosteneva l’attualità e la scientificità applicativa.

Ed infatti come non riconoscere che le immense devastazioni dei subprime non sono la conseguenza del tentativo di rispondere alla crisi di sovrapproduzione che investe da sempre il capitalismo ? Concedere mutui e crediti – due, tre, quattro carte di credito – a chi a mala pena riusciva ad arrivare alla fine del mese e forse neanche pure, per poi vendere questi crediti ad istituzioni che collocavano in tutto il mondo questa carta straccia, significava sostenere la vendita delle case e degli altri consumi, significava sostenere la produzione e concorrere allo sviluppo del pil.

Cosa è se non questo la denuncia di un quotidiano britannico che ha raccontato la storia di un ultra cinquantenne, il quale ha accumulato un debito di oltre cinquantamila sterline su 14, si quattordici, carte di credito e finanziamenti vari. Con l’aumento del costo della vita degli ultimi tempi quest’uomo non è più in grado di pagare non dico il capitale, ma nemmeno gli interessi e così quanti altri ancora.

Ecco perché ieri sera la cd componente di sx della giunta Petteruti, sulla questione macrico, ne è uscita ancora una volta con le ossa rotte. Nel parco o col nome di palazzo dei servizi o col nome di beauty farm una evidente cubatura di cemento andrà colmata. Il capitale è sempre alla ricerca della sua valorizzazione e trova sempre le strade per raggiungerla.

2.  nulla sarà come prima

Quello che forse sfugge ai più, a cominciare dal novello “Gulliver” alias “reuccio d’arcore” dal “faccio tutto mi” che raccomanda di non vendere le azioni, ma di tenersele come dire in portafoglio, limitandosi a ritirare i dividendi, senza minimamente chiedersi come  in presenza di una recessione quali utili il sistema produttivo produrrà,   è che la crisi in atto, della quale, alla fine, anche il Fmi se n’è accorto sovvertirà dalle fondamenta l’attuale gerarchia mondiale.

E’ pensabile ancora che, a cominciare dall’anno prossimo quando in Gallura, sull’isola della Maddalena, è previsto l’incontro degli otto paesi più industrializzati, lo sconquasso conseguente alla fine del liberismo ed in piena recessione siano ancora gli autori della crisi a decidere sul futuro del globo ? Assolutamente no ! E non solo per la intrinseca incapacità economica che ognuno dei paesi avrà, ma perché non avranno la forza per gestire l’obbedienza delle loro decisioni, salvo non concordare interventi militari, i quali, specialmente per il prevedibile ridotto peso degli Usa e dei suoi alleati (a cominciare dall’italietta del “sciur brambilla”), non sono da escludere.
Ciò tuttavia si scontra con il rovescio della medaglia della realtà che è dato dal fatto che il 25% del debito totale degli Usa oggi è in mano alla Cina, la quale per quanto esclusa dai mercati in qualsiasi momento potrebbe determinare il collasso vero dell’ancora prima potenza mondiale con l’effetto domino di tutti quei paesi che rispetto al consumatore di ultima istanza (appunto quello americano) hanno continuato durante tutti questi anni a progredire in termini di Pil.
La Cina, la Russia, l’India, il Brasile, il Sud Africa, il Venezuela etc. imporranno le loro ragioni, chiedendo di ridurre il primato dei paesi del G8: questo è lo scenario.
La fase è drammatica perché in presenza di una crisi di ampiezza spaventosa, con malaugurati, ma ahimè possibili, enormi contraccolpi sul piano occupazionale innanzitutto e quindi sui consumi per la ridotta capacità d’acquisto delle masse, il che vuol dire drastica diminuzione delle vendite di tutte le produzioni, sono prevedibili sbocchi legati a politiche di destra finanche estrema e quindi nuovi nazionalismi con possibili caratterizzazioni xenofobe e razziste, con vere e proprie cacce al “diverso” per il colore della pelle ed al “clandestino” come espulsione dello straniero.
Sul piano economico il ritorno della patria piccola o grande che sia vorrà dire innanzitutto la reintroduzione – il colbertismo – dei dazi protettivi nei confronti delle produzioni per esempio del tessile, del calzaturiero, dell’abbigliamento, degli elettrodomestici etc. e quindi possibili neoisolamenti con contraccolpi anche di natura militare tendenti a risolvere problemi di mercato e di approvvigionamento delle materie prime a cominciare dal petrolio e dai prodotti alimentari.
Il tutto mentre la sinistra di classe non esiste più. I resti del tentativo di raccogliere quello che rimase della disfatta del novecento, non sono stati capaci di capire l’importanza di recuperare la centralità del marxismo e quindi di rinnovare il comunismo, sulla base delle teorie e delle prassi dei comunisti che si contrapposero alle derive ed alle degenerazioni del socialismo realizzato del novecento.
Le ipotesi nel nostro paese di gestire il potere a tutti i livelli con partiti e corporazioni del territorio sono miseramente falliti. Lo sfacelo non ha bisogno di esempi e rappresentazioni perché è sotto gli occhi di tutti. Incapaci finanche di promuovere a livello regionale l’opportunità di intervenire nel gruppo Alitalia per salvare Atitech ed i mille e più lavoratori di Capodichino, così come rispetto alla bonifica dei territori avvelenati dei comprensori di Napoli e Caserta e il Macrico di Caserta e l’Italtel e la ex Olivetti e la ex Face Standard e le devastazioni derivanti dalle discariche e dagli inceneritori e così via.
Ci vorranno anni alla luce di ciò per costruire di nuovo il movimento di classe.
Da dove cominciare ? Già questo è un problema!

domenica 5 ottobre 2008

Allarme fondi TFR... rischio fregatura

da un intervento di Antonio Casolaro del 26 settembre
"Non c'è assolutamente gratificazione in quanto si legge nelle pagine che Vi allego, ma posso dire con assoluta sicurezza di aver salvato centinaia di lavoratori e lavoratrici dalla perdita del loro Tfr, afferma AC, nella sua mail, e continua: nei casi poi di silenzio nella decisione (30 giugno 2007 o nei sei mesi dall'assunzione) da parte del lavoratore ho sempre suggerito di considerare il silenzio come scelta per lasciare presso il datore di lavoro la propria liquidazione. Voglio ricordare che Liberazione per settimane vendette l'ultima pagina del giornale alla Cgil per convincere i lavoratori a destinare il Tfr ai fondi chiusi sindacali". L'allarme viene dalla stessa COVIP, la commissione di vigilanza sui fondi pensione, che chiede alle organizzazioni sindacali di fare "assemblee nelle aziende", prima che i lavoratori cominciano ad agitarsi "più del dovuto e le angosce prendano dimensioni allarmanti in modo particolare per gli iscritti ai fondi di categoria. La presenza fisica delle strutture sindacali e fondamentale in un momento come questo non lasciamo i nostri compagni da soli." Nel frattempo la stessa COVIP ha provato a buttare acqua sul fuoco e a tranquillizzare i lavoratori: già il 17 settembre in un comunicato stampa, in relazione alle notizie di stampa comparse su alcuni quotidiani circa possibili conseguenze per i Fondi pensione italiani, in particolare quelli negoziali, derivanti dalla crisi che ha colpito la Lehman Brothers, "il Presidente della COVIP - Commissione di vigilanza sui fondi pensione - prof. Luigi Scimìa, dichiara di aver già disposto un'accurata indagine sulla reale situazione complessiva dei fondi di previdenza complementare. Da primi accertamenti svolti nella giornata di oggi su un complesso di fondi negoziali, rappresentanti circa il 65 per cento del totale degli assets di tale categoria di fondi, è emerso che, l'esposizione diretta verso i titoli azionari e obbligazionari della Lehman Brothers rappresenta appena lo 0,10 per cento del totale della massa fiduciaria gestita". La notizia viene prontamente riportata dal SOLE 24 ORE: in realtà la situazione è più preoccupante, per gli effetti di contagio che può avere, e dimostra chiaramente che il TFR non può essere garantito dal mercato.
articolo SOLE 24 ORE
lettera del presidente del fondo COMETA al Ministro Sacconi
articolo LA REPUBBLICA

giovedì 25 settembre 2008

Caserta: raccolta differenziata? Ma non sia mai

Caserta, 20 settembre 2008
di Giuseppe Messina

Nuovo appalto, nuova ditta da circa due mesi, 175 operatori, circa il doppio di quello che servirebbero (tanto pagano i cittadini). La SABA non è certo la SACE, qui abbiamo un'azienda con consolidata esperienza nel settore sei servizi di igiene urbana, che gestisce diversi comuni anche grandi in Campania. Occorrerebbe andare a vedere (che ne pensa sig. assessore De Rosso?) per capire sul campo con chi si ha a che fare. Ma ad oggi la situazione sembra paradossale: una ditta terza gestisce l'area di Talamonti, il comune che gestisce direttamente il capannone dell'UCAR, la SABA che avrebbe dovuto inziare la raccolta differenziata ma a nessuno è dato sapere se e quando questo succederà. Nessun provvedimento (leggasi penale) nei confronti della ditta appaltatrice, nessuna isola ecologica e non è dato sapere se mai inizieranno i lavori perrealizzarle. Gli uffici ecologia hanno richiesto da mesi di rafforzare l'organico e di utilizzare almeno una squadra fatta di agenti della polizia municipale. Silenzio assoluto. Atti, nessuno, e così si spera nella buona volontà di qualche dipendente e nel senso civico dei casertani (sig!). L'Amministrazione comunale sembra più preoccupata della sua sopravvivenza che per i problemi della città (è un caos ovunque: dal traffico, alle manutenzioni, dai dipendenti ai servizi all'utenza). Nessuno ha la percezione che esista una politica del trasporto pubblico così come dei servizi sociali o culturali. Si naviga a vista e si tira a campare. Tanto i casertani sono di bocca buona e "chi se ne frega se la città va al macero l'importante è che il salotto di casa mia stia a posto". E' la filosofia del casertano e non solo. Filosofia che oggi racoglie i suoi frutti fatti di fallimenti istituzionali e amministrativi e di una società civile che non cresce. Basti pensare all'iniziativa della raccolta differenziata avviata nella parrocchia di Madonna di Lourdes e precipitosamente e incredibilmente archiviata con un atto (di arroganza? Cecità? Stupidità?) del responsabile che rasenta l'inverosimile anche nei confronti dei padri sacramentini che, forse unici fra i cattolici casertani (insieme a pochi altri, anche non cattolici) hanno creduto in questa esperienza. E così si va avanti, si fa per dire, in questa sonnacchiosa, indifferente e cinica città dove ognuno può fare quello che vuole, dai cavaioli, alla camorra alla massoneria. In perfetto clima berlusconiano, dove lo Stato non conta e non deve contare e dove l'impunità, l'arroganza e il cinismo regnano sovrani. Con buona pace per chi si è illuso che il paese fosse ad una svolta. Non lo è. E' stata innestata la retromarcia e Caserta sia alla Provincia sia al Comune si affrettano, con successo, ad emulare il capo di un governo di pupi.
Giuseppe Messina - Legambiente

sabato 20 settembre 2008

Castelvolturno: dalla parte della rivolta, senza se e senza ma.

di Giosué Bove
La ricostruzione della strage di Castelvolturno, propugnata da ambienti della Questura e diffusa ampiamente dai mass-media, si è mossa in maniera pregiudiziale nel solco del “regolamento di conti” e della “spedizione punitiva dei Casalesi contro chi tenta di 'mettersi in proprio' nel traffico di droga nella zona”. E' una ricostruzione di comodo, perfettamente adeguata al clima razzista del “pacchetto sicurezza” del governo Berlusconi. In realtà dalle decine e decine di testimonianze raccolte le vittime del raid nella sartoria erano sarti, barbieri, pittori, operai e braccianti “con i calli alle mani”, completamente estranei al traffico di droga e dunque, probabilmente, o erano persone “nel posto sbagliato al momento sbagliato” oppure i killer dei Casalesi hanno voluto dare all'intera comunità un segnale chiaro di feroce determinazione nel controllo del territorio, e dunque la strage potrebbe essere collegata alla nuova ondata di estorsioni che si sta abbattendo sulle attività di quelle aree. Ma di questo pochi parlano, sottovoce, (anche se qualche indiscrezione sui giornali, in particolare su “Il Mattino” c'è stata) perché è più semplice dire che si sono “ammazzati tra di loro”. Lo stragismo della camorra dei casalesi, del resto appare non più un dato occasionale ma una vera e propria strategia: volumi di fuoco altissimi per obiettivi limitati.
Anche la rivolta è stata presentata con il cliché della violenza improvvisa e ingiustificata. “Se è stata la camorra, che c'entra Castelvolturno, che c'entrano le auto, i cartelli stradali, le vetrine?” si sono domandati i bianchi del litorale e i benpensanti della serie: “io non sono razzista”. Non ci vuole molto a capire che quei ragazzi morti, di cui fino ad ieri è stato difficile perfino sapere i nomi, (perché quando muore un italiano bianco c'è sempre il nome e cognome, quando muore un nero non ce n'è bisogno) sono la goccia che ha fatto traboccare un vaso colmo di disperazione, di violenze subite e accumulate, di razzismo, di sfruttamento e di oppressione insopportabile, aggravata adesso dal pacchetto sicurezza del governo Berlusconi, che di fatto oggi impedisce ad un immigrato senza permesso di soggiorno di denunciare una aggressione. Che da anni questi lavoratori che garantiscono le attività dell'edilizia e dell'agricoltura tra Caserta e Napoli sono privati da un ordinamento razzista dei documenti e di ogni diritto. Che sono sfruttati dai datori di lavoro, dai proprietari di casa, dai commercianti, derisi, spintonati sugli autobus, guardati di traverso, indicati come “spacciatori”, gli uomini e “puttane” le donne. E allora c'entra tutto: c'entra uno Stato che ha il volto feroce nei confronti dei migranti ma remissivo nei confronti dei poteri forti della imprenditoria criminale di quelle aree, come dimostrano ampiamente le confessioni peraltro rese pubbliche in questi giorni sull'Espresso e che individuano il legame stretto tra alcuni rappresentanti politici, alcune imprese, alcuni funzionari e il clan dei Casalesi. C'entrano i padroni di casa che spaccano la faccia di “Angela” (leggi questa storia), fino a farle saltar via i denti, per cacciarla dal misero locale in cui sopravvive con i suoi tre figli. C'entro gli speculatori che approfittano in ogni situazione del ricatto oggettivo in cui vivono i migranti. C'entrano gli imbecilli che offendono o spintonano i neri dentro gli autobus o che deridono i figli dei migranti nelle scuole e chiedono che vengano allontanati. E c'entra soprattutto questa società, in cui la divisione tra lavoratori bianchi e neri è funzionale all'ulteriore oppressione e sfruttamento degli uni e degli altri.
Per questo oggi non è data un'altra strada: al di là dei fatti specifici intanto noi siamo dalla parte della rivolta, perché mai come in questo caso, ribellarsi è giusto e con ogni mezzo possibile. Poi, certamente, vorremmo esser gentili, e proveremo ad esserlo. Ricostruendo, pietra su pietra, le ragioni della unità e della solidarietà di classe tra lavoratori e di una battaglia contro il comune avversario di classe. E chiedendo nel frattempo, come hanno fatto diversi lavoratori migranti durante la giornata della rivolta, che la sicurezza cambi verso e direzione, e che finalmente i migranti siano protetti dalla sopraffazione e della violenza dei potenti.
I lavoratori migranti sono la nuova frontiera dello sfruttamento, le braccia potenti di nuove accumulazioni di capitale; ma, sono, allo stesso tempo, anche il nuovo spettro che agita i sonni della borghesia, lo spettro di milioni di uomini e donne della periferia dell'impero che non possono dimenticare le offese dei padroni del mondo.

mercoledì 17 settembre 2008

Macrico e la tendenza suicida del centro sinistra

Grazie ai finanziamenti per i 150 anni dell'Unità d'Italia il MACRICO (una grande area di verde boscoso di proprietà dell'Istituto del Sostentamento del Clero, utilizzato nei decenni passati dall'esercito italiano come MAgazzino Centrale RIcambi mezzi COrazzati) diventerà finalmente il nuovo parco della città di Caserta. Sarà forse espropriato e comunque acquisito alla proprietà pubblica. Questo è sicuramente un fatto positivo, che va difeso. E' il risultato di una lunghissima lotta di comunità il cui valore non va dimenticato. Ma (purtroppo c'è quasi sempre un "ma") il progetto preliminare della Struttura di Missione (in sostanza un gruppo di lavoro del Governo) prevede delle cose che con il parco c'entrano poco. Bene ha fatto il comitato Macrico Verde a denunciarle su un volantino: due strade percorribili che si attraversano perpedicolarmente, dividendo in quattro l'area; due palazzoni di 12 metri di altezza per ospitare un polo fieristico e un auditorium (l'auditorium provinciale di Via Ceccano, dotato di 600 posti, è attualmente utilizzato al 20% delle sue possibilità), un museo (ma non era previsto nella Caserma Sacchi?), una biblioteca (ma non c'avevano detto che la biblioteca si doveva fare nell'ex macello e perciò quel luogo non poteva essere destinato a centro sociale?), un incubatore di imprese, case per studenti e parcheggi a raso e interrati, del tutto inutili, visto l'enorme parcheggio già realizzato sotto il monumento ai caduti.
E' dunque effettivamente necessario entrare nel merito del progetto. E a questo proposito il merito è anche metodo: perché è evidente che qualsiasi decisione debba essere assunta dalle autorità locali, essa non potrà e non dovrà essere presa in contrasto con le posizioni di chi in questi anni ha rappresentato l'anima di questa battaglia, per l'appunto il comitato Macrico Verde.
E' vero che c'è il rischio che possano sfumare i finanziamenti, e dunque la possibilità di acquisire alla proprietà pubblica il Macrico. Ma questo non può diventare l'arma del ricatto per far passare dalla finestra quello che tutti insieme avevamo cacciato dalla porta nell'accordo programmatico della primavera del 2006 sul Macrico e che consentì allora l'elezione del Sindaco Petteruti.
Già allora questa discussione fu centrale e complicata: alla fine si concordò che il nuovo progetto, alternativo a quello Boeri commissionato dalla precedente amministrazione, non prevedesse alcuna nuova edificazione nell'area, ma esclusivamente il recupero delle costruzioni in muratura già esistenti. Già allora, e poi più in dettaglio nello studio di fattibilità del comitato, si parlava di ubicare l'Orto Botanico della SUN (oltre 100 mila mq), il festival internazionale dei Giardini (concreto attrattore turistico e garanzia di presenza del verde), il Corpo Forestale dello Stato (che avrebbe in cambio garantito la manutenzione del verde senza oneri per la città) e ancora funzioni pubbliche, sociali, culturali, ricreative e sportive gestite da enti pubblici o associazioni. Questo studio di fattiblità, che punta all'accessibilità universale del Macrico e alla sua possibilità di essere anche occasione di buona occupazione, sarà presentato Giovedì 16 ottobre alle ore 18,00 al Salone S. Augusto presso la Curia di Caserta. Sarà un momento importante per capire di più e - se ce ne sarà l'occasione - anche per comprendere come mai
di fronte ad un progetto molto discutibile, avanzato da un governo questa volta “non amico”, vi sia un atteggiamento remissivo e conciliante a parte dell'amministrazione e della maggioranza, lasciando peraltro campo libero alla destra che così si ritrova comodamente a cavalcioni e può alzare la voce e criticare “in nome del popolo” a Caserta il progetto del suo governo, casomai programmando contestualmente gli affari da Roma sul Macrico. La maggioranza che regge ll capoluogo della provincia di Caserta deve capire che non sarebbe utile ripetere il copione del governo Prodi e che siamo ad un bivio: o si rilanciano queste amministrazioni, riconquistando una sintonia reale con il popolo e gli interessi delle masse, rischiando anche di cadere, ma a testa alta, oppure per quanto ci riguarda noi non ci stiamo a farci trascinare nel vortice, ad un altro suicidio.

sabato 13 settembre 2008

Alitalia, situazione drammatica

Emerge sempre con più chiarezza che la soluzione berlusconiana, era una squallida operazione elettoralistica.
La cordata degli imprenditori italiani si è dimostrata in termini di valore poca cosa, senza idee, limitata nella strategia, condivisa a condizione che il costo del lavoro per la CAI fosse notevolmente basso, in guisa da consentire al partner del settore – Airfrance o chi per esso – di far parte della operazione proprio perché allettata da stipendi minimi e dalla socializzazione delle perdite accollate ai contribuenti italiani, per poi affidargli la costruzione del disegno della competività industriale.
In questo quadro le responsabilità del sindacato si aggiungono agli errori della vertenza con Air France dei mesi scorsi.
Cgil-Cisl-Uil-Ugl non si sono ancora resi conto che la centralità della vertenza è il posto di lavoro innanzitutto e che il governo oggi più che mai deve essere coinvolto in solido. La via della trattativa stando a quello che è stato dichiarato dagli imprenditori, dal commissario Fantozzi e dai ministri è fallita. E’ tempo di chiamare alla lotta i lavoratori, che in questi giorni hanno ampiamente dimostrato di essere disponibili. Il sindacato deve far propria la vertenza e dichiarare lo sciopero generale per l’Alitalia.
Quasi trent’anni fa più o meno nelle stesse condizioni migliaia e migliaia di lavoratori furono sconfitti dalla Fiat. Anche allora il sindacato fu incapace di rispondere e tutta la crisi aziendale fu fatta pagare agli operai.
Antonio Casolaro

venerdì 12 settembre 2008

La maggioranza del Partito napoletano,questa sconosciuta

Che ne è della maggioranza del Partito napoletano, che stravinse,con il 70 per cento e più il Congresso Napoletano del PRC a luglio 2008? Quella maggioranza che, senza attendere le sagge proposte di rinvio dell'elezione del Segretario Provinciale,avanzate dalle aree di minoranza interna, poi risultate maggioritarie nel Congresso Nazionale di Chianciano, ma anche dall'Assessore Regionale,Corrado Gabriele, rielesse alla carica Andrea Di Martino, colla motivazione che le urgenze politiche e sociali della città non potevano attendere oltre,che già ad agosto bisognava tenere il Partito pronto al'azione? E Di Martino,che,in un'intervista a Patrizia Capua, si impegnò a lasciare il posto di staffista al Comune di Napoli, per impegnarsi a tempo pieno nella carica riconfermata, quando farà sentire la sua voce sui giornali? E quando convocherà il Comitato Politico Federale per l'elezioni degli organismi dirigenti provinciali? E Peppe De Cristofaro,di fronte a fatti, iniziative, dibattiti,che squassano oggi,ricompongono domani il quadro dell'azione della Regione Campania, dai rifiuti, alla subita "collaborazione con Berlusconi".al turismo in crisi di agosto, cosa aspetta a convocare il previsto Congresso Regionale?Ed ancora, le crisi industriali a Napoli,colla giusta,clamorosa protesta di ieri dei lavoratori dell'ATITECH,nell'ambito della piu' complessiva crisi ALITALIA, devono o no trovare subito una sponda politica,sociale,istituzionale,oltre al lavoro dell'Assessore Grabriele?E le lotte dei lavoratori del Monaldi a chi devon fare riferimento?E la lotta in piazza delle tante precarie scolastiche,lasciate "a piedi" dai tagli del nuovo Governo non poteva essere convogliata verso la prima manifestazione nazionale,politica e sociale, di opposizione al Governo,che si terrà a Roma il 14 settembre?Ed i soggetti alle prese ogni giorno colle difficoltà della spesa,donne in primis,chi troveranno oltre il consumerismo organizzato,nella manifestazione del 18 settembre?Non è più ora di attendere,chi ha vinto il Congresso, governi il Partito,organizzi,oltre quello che già stanno facendo i compagni delle mozioni 1,3 e 4 del Congresso ormai finito, la partecipazione a Roma per il 14 settembre,manifestazione,che vedrà partire dei bus da Napoli-per informazioni,chiamare Giuliano Pennacchio-34758705035-.E'ora di fare opposizione al Governo Nazionale,è ora di una verifica vera,dopo la riunione congiunta di ieri,dell'efficacia nostra e complessiva dell'azione di governo a Napoli,nei Comuni da noi governati in Provincia, ed in Regione,senza subalternità,essendo NOI IL CUORE DELL'OPPOSIZIONE PER IL CAMBIAMENTO VERO DELLA STAGNANTE SOCIETA' ITALIANA E DELLA DEPRESSA SOCIETA' NAPOLETANA.Avv.Nicola Vetrano.già del Coordinamento Congressuale della Mozione 1 a Napoli.

sabato 23 agosto 2008

Angela ha gli occhi umidi e la voce tremante

Angela ha gli occhi umidi e la voce tremante , quando ci racconta la sua storia, con lei i suoi tre figli; il più piccolo solo un anno, la più grande 6 anni; tre figli nati e cresciuti in Italia. Lei è qui da 12 anni; non è riuscita mai ad avere un permesso di soggiorno; ha sempre lavorato come poteva per crescere i suoi figli, ma riuscendo sempre a pagare il pigione di casa, a vestirli e farli mangiare, senza dover chiedere nulla a nessuno, e senza commettere reati.

Dopo il decreto sulla sicurezza, che aumenta le pene per i proprietari di casa che ospitano clandestini e irregolari, benché in regola con i fitti, è stata energicamente invitata a lasciare casa; ma dove poteva andare con i suoi figli ? chi altro poteva dare lei ospitalità? Ha rifiutato e resistito alle insistenti pressioni del padrone di casa, che le ha staccato acqua e luce , lasciandola al secco e al buio da oltre un mese. Il 27 Luglio scorso Angela, in piena notte, ha ricevuto la visita di questo signore, che al suo ennesimo rifiuto di andare via , l’ha aggredita con pugni e calci ; una gomitata in pieno viso le ha fatto saltare i denti . Angela , insanguinata, è andata in Ospedale ; la diagnosi di uscita è : “ AVULSIONE TRAUMATICA INCISIVI CENTRALI E LATERALI INFERIORI CON ESCORIAZIONI DIFFUSE PER IL CORPO- riferisce aggressione da parte di persona a lei nota a Castel Volturno “ ( così recita il referto rilasciato dalla Clinica Pineta grande, e firmato dal medico di turno) .

Quella stessa notte la giovane nigeriana si reca al posto di polizia per presentare denuncia; anche se ancora con i vestiti insanguinati, viene invitata a presentarsi la mattina successiva. Ma il giorno dopo , il poliziotto di turno, le dice che , visto che non ha il permesso di soggiorno, non può presentare denuncia , e le consigliava di rivolgersi ad un avvocato ( questo almeno è quanto ci riferisce Angela; vogliamo sperare che si sia trattato solo di un equivoco ) . Angela si è così scoperta fantasma, un fantasma senza diritti, neanche quello di esistere.

Oggi Angela è disperata; non sa a chi rivolgersi ; oramai ha difficoltà anche a comprare il latte per la più piccina , e teme per i proprio futuro ( nuove aggressioni? o addirittura l’arresto come se fosse lei una criminale ? ) .

Angela prima ancora di essere vittima di un bruto , è vittima di quelle norme che fanno della clandestinità , o meglio della povertà, un crimine . E’ vittima di un cultura sempre più diffusa che non riconosce diritti a tutti coloro che sono diversi dalla maggioranza; il diritto alla sicurezza, diritto a vivere e lavorare per la propria sopravvivenza e di quella dei propri figli.

Angela oggi ha deciso di andare via, tornare dopo 12 anni in quello che una volta era il suo Paese, ma che ora è anch’esso straniero per se e per i figli nati e vissuti qui in Italia ; ce lo dice , in preda alla disperazione; mentre guarda negli occhi smarriti delle sue bambine , che hanno ascoltato in silenzio il suo racconto, con un leggero tremito nelle mani, per il ricordo vivo della violenza assurda subito dalla madre e di cui sono state testimoni.

Italia, Patria del Diritto e di antiche civiltà, davanti alla storia di Angela non provi vergogna !?

lunedì 11 agosto 2008

Liberazione e Rifondazione

di Antonio Casolaro

Mi sembra che il gelo già esistente tra Ferrero e Sansonetti, nell’assemblea della redazione di Liberazione,tenutasi ieri mattina a via del Policlinico non si sia sciolto e che ognuno abbia ribadito le proprie posizioni(cfr l’articolo sul Corriere della Sera di oggi 07 agosto 2008 firmato Andrea Garibaldi).

Liberazione quindi continua ad andare avanti per la sua strada ed a produrre articoli rivolti a picconare quello che resta delle cd “verità consolidate” dei tempi del socialismo reale. Fin qui si potrebbe pure convenire con la redazione del giornale, dal momento che il movimento operaio in urss, nei satelliti ad essa collegati fin quando sono esistiti ed in Cina oggi, la libertà non la conobbe mai.

Spiace tuttavia constatare “le dimenticanze” di non poco conto, riguardanti numerosi comunisti che fin dalla rivoluzione del ’17, individuando il processo degenerativo dell’ottobre, si opposero alla conclusione anzitempo della liberazione proletaria. Già Bordiga, per esempio allorquando affrontò il problema Russia denunciò fin dall’inizio degli anni ’20 il carattere antiproletario dello stalinismo fino al punto che nel 1951, dopo essere stato espulso dal Pci stalinista del 1930, disse che "Mentre il bonapartismo del grande Napoleone era sulla più alta cresta di un'ondata rivoluzionaria, ed era allora la più ardente punta della storia europea, questo russo di oggi è la retroguardia di un esercito non vinto, ma che marcia tuttavia con le spalle rivolte al fronte. Ma se le controrivoluzioni del secolo scorso insegnarono quanto è consegnato nella storia della Comune, e della rivoluzione soviettista, questa controrivoluzione di oggi non potrà nemmeno essa passare invano; e se avrà portato il capitalismo verso gli Urali e verso i mari del Levante, anche questo segnerà la strada per la rivoluzione proletaria, che batterà dall'Atlantico al Pacifico le forze mostruose del Capitale". Così come il comunismo libertario e le sue pratiche rivoluzionarie prodotte durante la guerra civile spagnola del 1936/39 e poi Bandiera Rossa tra le fila della resistenza fino a tutti i gruppi e collettivi che non accettarono mai il compromesso con il capitale del pci togliattiano e dei suoi discepoli.

L’opera di Sansonetti a parer mio non ha prodotto quella chiarezza che il m.o aveva bisogno eccome, dal momento che era stato ottenebrato dalle false verità degli apparati dei partiti comunista d’impronta terzinternazionalista, ma ha contribuito a chiudere in modo repentino e senza critica settantanni e più di storia dell’umanità, consegnandolo pari, pari nelle mani del capitalismo. Per esempio gli articoli su Cuba una cosa è che la critica sia scritta e prodotta (a cominciare dal Che) dai comunisti, i quali nell’individuare e nel descrivere gli errori di Fidel Castro, senza indulgere in buonismo di sorta, terranno presente quello che ha fatto e continua a fare l’imperialismo usa nei confronti del paese caraibico, dividendo e distribuendo le responsabilità così come sono sorte e così come sono state prodotte, un’altra cosa è liquidare una esperienza di liberazione, specialmente nel contesto del centro e del sudamerica, la quale pur in presenza di un blocco dissanguante è riuscita ad essere un paese molto, ma molto più avanzato di quelli a cd democrazia occidentale.

Howard Zinn, considerato il più importante storico radicale statunitense, presentando il suo più importante libro forse: “Storia del popolo americano dal 1492 a oggi” ebbe a dire che “ La storia di qualunque paese nasconde la realtà di feroci conflitti di interesse tra vincitori e vinti, padroni e schiavi, capitalisti e lavoratori. E in questo mondi di vittime e carnefici le teste pensanti hanno il dovere di non stare dalla parte dei carnefici”. Certo il direttore di Liberazione potrebbe saltare dalla sedia sentendosi accomunato ai carnefici e certamente non è così, tuttavia i suoi articoli andrebbero spiegati e connessi con dovizia di riferimenti e di particolari storici alle violenze del capitalismo e dell’imperialismo di tutti i paesi occidentali compreso l’Italia.

Stamani 07 agosto il direttore del giornale si è cimentato in un’altra “provocazione” con un articolo di spalla intitolato: “Boicottare la Cina non è di destra”. Ritengo che vi sia una sorta di “coda di paglia” in Sansonetti nell’intestare l’articolo così come lo ha fatto lui. Gli risulta per esempio se qualche governo o organizzazione di dx abbia boicottato le navi cilene durante la dittatura di pinochet o di quella dei colonnelli greci o del sud africa dell’appartheid o dei generali argentini o degli Usa durante la guerra in Vietnam o in Cambogia o nell’invasione di Panama, di Granada, del Salvador, del Nicaragua, delle Filippine e così via ? C’è tanta ipocrisia in questo tentativo di boicottaggio. Gli operai e le operaie, i contadini e le contadine cinesi potrebbero effettivamente ricevere un segno di fratellanza proletaria attraverso per esempio il boicottaggio da parte dei portuali e non solo italiani delle navi cointeners cinesi nei porti italiani. Andatelo a dire a Gasparri e alla giovane ministra che chiede anch’essa il boicottaggio dei giochi e vedete che vi rispondono. La Cina è una società autoritaria, violenta che estorce a piene mani plus valore dal proletariato indigeno, accumula profitti, apre il suo enorme mercato all’occidente e l’occidente fa a gara per conquistare quel mercato. Quale partito comunista può identificarsi con quello cinese ? Nessuno. Sul Tibet andrebbe detto più di quanto fino ad ora è stato detto. Un Tibet “liberato” sarebbe il giorno dopo facile preda dell’imperialismo Usa. La Cina attuale non consentirà mai che ciò avvenga, dal momento che non potrebbe accettare la presenza di missili puntati contro il proprio territorio a pochi Km.dalle sue frontiere.

Cmq al di là dell’evoluzione che assumeranno i rapporti tra Rifondazione ed il giornale mi basterebbe che prima che andasse in edicola qualche correttore di bozze o un lettore meno stanco intervenisse per correggere gli errori più vistosi come quello di stamattina che nell’articolo riguardante la manovra finanziaria (pag.6) titola “Tremonti si gode la manovra e annuncia 200 mila nuove case” cosa non vera perché sul modello del “social housing” gli alloggi saranno solo ventimila.


domenica 10 agosto 2008

Un nuovo inizio, anche a Caserta

La sfida per l'egemonia si può fare solo alzando la testa. Solo con la testa alta si riesce a guardare lontano.
La redazione di Movimentazione intervista Giosuè Bove, ex segretario della federazione provinciale di Caserta del PRC

Dopo il congresso l'aria continua ad essere tesa nel tuo partito. Alcuni dirigenti della mozione Vendola hanno dichiarato di non riconoscere Ferrero come Segretario del partito e la fretta con cui è stata costituita l'area di “Rifondazione per la Sinistra”ed il contestuale lancio da parte di SD a settembre della costituente della sinistra fanno pensare ad una scissione prossima.

Direi che la fretta non è mai buona consigliera. La federazione di Caserta è sempre stata all'avanguardia della riflessione e della pratica unitaria verso la sinistra e proprio in forza di questa lunga esperienza concreta consiglierei a tutti di chiedersi: c'è davvero uno spazio reale fuori dal PD per un soggetto “genericamente di sinistra”? E quanto peso hanno nei processi politici profondi gli attuali ceti politici dirigenti delle forze a sinistra del PD? Su questi terreni è necessario un approfondimento serio e non una discussione urlata. Le forzature organizzativistiche, la tifoseria, sono gli atteggiamenti più sbagliati, utili solo (e forse) a “recintare” per qualche tempo l'area della mozione congressuale, provando ad evitare sfaldamenti immediati, ma con il rischio di versare benzina sul fuoco. Spero che nessuno voglia mettersi a fare il guastatore e comunque bisogna evitare ad ogni costo di favorire scissioni aperte o silenziose. Se vi fosse irresponsabilità e faziosità da un parte, non bisogna assolutamente rispondere con la stessa moneta dall'altra. Nessuno si deve sentire ospite nel PRC: il nostro partito è la casa di tutti gli iscritti e tutti sono necessari. Parimenti è necessario che venga rispettata la democrazia interna: se fosse stato eletto a segretario Vendola, anche solo con il 50% più uno dei voti raggiunto con un accordo di coalizione, io l'avrei riconosciuto immediatamente come il “mio segretario”. La stessa cosa deve avvenire con Paolo Ferrero, che tra l'altro è sicuramente il miglior segretario possibile di questa fase. E lo dico non per spirito di parte, ma perché è evidente che solo una persona con grande senso di responsabilità e con molta umiltà poteva mettersi al servizio di una impresa tremendamente difficile e ardita, con molti oneri e sostanzialmente nessun onore.

Vendola ha dichiarato che questo congresso ha segnato la fine di Rifondazione così come l'aveva conosciuta in questi 17 anni. E' una esagerazione?

Questo congresso ha segnato una effettiva discontinuità nella storia di Rifondazione Comunista: il 13 e 14 aprile ci hanno consegnato l'inadeguatezza di un PRC e dell'intera sinistra che più che “radicale” era “radicaleggiante” e “sradicata”, con un peso sociale ed elettorale del ceto politico dirigente, come si è visto nelle urne, prossimo allo zero. Del resto è un fenomeno esteso almeno all'intera Europa: i partiti “radicaleggianti” cioè caratterizzati da un estremismo parolaio e da un comportamento “opportunista”, sia verso destra, con una subalternità di fatto alle forze moderate, che verso sinistra, con i comportamenti “testimoniali” ma comunque esterni alla concreta dinamica della lotta di classe, hanno avuto nello scorcio di fine secolo un discreto ruolo. Ma oggi sono letteralmente tagliati fuori dal sistema politico: non c'è invenzione politicista che tenga, né quelle unitarie, come in Spagna, né quelle identitarie, come in Francia. A sinistra c'è un vuoto, ma esso può essere riempito con una presenza politica critica, matura e radicata, come, per esempio, in Olanda e in Germania.

Cosa succederà a Caserta? I sostenitori della mozione Vendola temono che dal centro vi si ordini di uscire dalle giunte locali?

Vorrei chiedere a questi compagni di evitare di costruire la polemica politica su posizioni inesistenti. Ci sono aree della maggioranza che legittimamente esprimono una posizione contraria alla nostra partecipazione alle giunte locali, interpretando peraltro un diffuso sentimento dei nostri militanti, simpatizzanti e del nostro elettorato. E dunque quella posizione è legittima, certamente di più di quella che propone l'alleanza a-critica, automatica e subordinata al PD. Ma è una barzelletta quella che dall'alto si ordini di uscire dalle giunte. Paolo Ferrero ha chiarito subito che la posizione della nuova segreteria sarà di rispetto totale delle volontà espresse dai territori. Per quanto riguarda le giunte locali della provincia di Caserta già prima del congresso, precisamente il 29 aprile, il comitato politico federale approvò a larga maggioranza un ordine del giorno nel quale abbiamo ribadito tutti insieme, e sottolineo tutti insieme, che "la questione fondamentale è la costruzione di un profilo autonomo del nostro partito e, più in generale, della sinistra di alternativa (...) e che nel riconfermare la totale fiducia e stima all'assessore provinciale "viene contemporaneamente avviata una discussione approfondita (...) sulla persistenza delle condizioni politiche e programmatiche per continuare questa esperienza; così come senza pregiudizi, viene avviata la discussione sulla esperienza regionale e su tutte le esperienze amministrative, a partire da quella del capoluogo di provincia".

E però ha fatto discutere il giudizio sul PD che tu hai espresso in una intervista sul quotidiano Buongiorno Caserta..


Intanto il titolo di quella intervista riportava, per un frainteso tra il titolista e l'articolista, una frase ("gli irresponsabili che pensano solo ai fatti loro", riferita ai dirigenti casertani del PD, ndr) che non avevo pronunciato io, bensì esponenti di altri partiti della sinistra, come si capiva bene dalla lettura del successivo testo virgolettato. Del resto la polemica era posticcia perché chi mi conosce sa che quel tipo di giudizi non è farina del mio sacco. Ci sono stati anche rilievi sul fatto che io sia intervenuto parlando come se fossi ancora segretario, utilizzando il plurale maiestatis. Al contrario il plurale era stato utilizzato esattamente per sottolineare la collettività di una posizione unitaria assunta già precedentemente: se il partito (e non io che ho spiegato nel corso della stessa intervista di non essere più segretario) fosse stato chiamato ad esprimere un giudizio sul ventilato rimpasto di giunta provinciale non avrebbe potuto esprimere altro giudizio se non quello che tutti insieme avevamo deciso il 29 aprile nell'ultimo comitato politico, e che tra l'altro gronda di buon senso: per noi è necessaria, prima di tutto e dunque anche prima di ogni rimpasto o rimpastino, una verifica sul programma. Per il resto il giudizio sul PD non è assolutamente cambiato, semmai si è consolidato. Io penso che una parte del PD abbia in testa il modello americano e che dunque ritenga necessario e auspicabile l'annullamento di ogni protagonismo autonomo della sinistra politica. E' un fatto, questo, preoccupante perché temo che anche coscienze critiche, pezzi di cultura di sinistra e solidarista che oggi stanno nel o con il PD restino prigioniero di questo schema, Che è uno schema sbagliato perché le rappresentanze "di parte", o, nel nostro linguaggio, "di classe" nelle democrazie sono la garanzia della libertà e cancellarle apre la strada alle autocrazie lobbistiche e alle oligarchie, rafforzando il dominio della grande borghesia e l'oppressione delle classi subalterne e dell'intera società. E' anche per questo che c'è bisogno di una nostra "svolta a sinistra" che eviti radicalismi parolai e moderatismi ipocriti e opportunisti e che presenti il PRC come una forza in grado di intraprendere con il PD una "sfida per l'egemonia" nella società, basata sulle questioni concrete e sul profilo politico. Dobbiamo essere capaci di protagonismo nella costruzione della opposizione al governo delle destre, lanciando le campagne referendarie sulla abolizione della legge 30, sul ripristino della scala mobile., sul salario minimo e sul salario sociale ma anche sulla giustizia e sulla ennesima legge vergogna di Berlusconi, quella del lodo Alfano. E soprattutto dobbiamo costruire un altro 20 ottobre che abbia al centro l'intreccio tra questione sociale, questione democratica e questione morale e che rilanci con forza la questione meridionale, con una lotta durissima contro il federalismo fiscale. Ma per questa sfida c'è bisogno anche di un profilo politico nuovo che esalti l'autonomia e l'indipendenza di Rifondazione, senza cadere nella tentazione dell'isolamento: le alleanze si fanno sulla base di intese programmatiche sulle questioni fondamentali: carattere pubblico, qualità e quantità dei servizi, garanzie sociali e ambientali. Se l'intesa programmatica c'è si fa l'alleanza, se non c'è non si fa.

Questo in generale. Ma sul PD casertano?

Sul PD casertano il giudizio resta necessariamente duro. E' a causa degli insanabili contrasti tra parti rilevanti delle componenti che oggi costituiscono il PD che la amministrazione provinciale di Caserta non è riuscita ad affrontare in maniera adeguata le grandi questioni che abbiamo di fronte: la crisi del trasporto pubblico, la desertificazione delle aree industriali, la tendenza alla privatizzazione dei servizi, a partire dall'acqua, la questione dei rifiuti. E' a causa della mancanza totale di discussione sulle scelte strategiche di fondo che è mancata una idea forza che unificasse le questioni in una sorta di vertenza Caserta, mettendo al centro la proposta della bonifica integrale e del rilancio dell'agricoltura e dell'industria leggera. E' a causa del gioco politicista a tagliare le gambe all'avversario più vicino, gioco molto in voga già al tempo della nascita della stessa giunta provinciale, se la popolarità dell'esecutivo provinciale, che ha fatto diversi errori, ma anche diverse cose buone, è praticamente sotto zero. Il rilancio di questa amministrazione è forse possibile, e probabilmente sarà necessario anche una rivisitazione della giunta: ma prima è necessaria una verifica programmatica su ciò che è stato fatto e ciò che bisogna fare. Anche perché solo se si fa un bilancio serio è possibile fare le scelte e le cose giuste. Questo, naturalmente, è il giudizio sul passato. I nuovi assetti nel PD usciti dal congresso potrebbero andare in altra direzione, e potremmo trovarci di fronte ad una sfida sui contenuti, e sulle forme di partecipazione democratica. Ne sarei estremamente contento: la competizione a sinistra sarebbe un beneficio per tutti, soprattutto per i nostri referenti sociali. Una cosa però ci tengo a ribadire: la forza di un partito si misura sulla base del livello di radicamento sociale e di consenso e non sul gradimento degli altri partiti. La sfida per l'egemonia di cui ci ha parlato lo stesso Bertinotti si può fare solo alzando la testa. Solo con la testa alta si riesce a guardare lontano.

Paolo Ferrero ha detto che la gestione unitaria del partito sarà riproposta sempre e comunque. Lo farete anche a Caserta dove la mozione 1 ha la maggioranza assoluta, con oltre il 57% dei voti?

Anche su questo tema nell'intervista su Buongiorno Caserta l'articolista in un passaggio ha tradotto maggioranza con maggioritario e qualche compagno ha sollevato la polemica. Allora è utile chiarire subito che intanto la risposta alla domanda è: assolutamente si! Nonostante la mozione 1 abbia il 57% dei voti noi intendiamo praticare la gestione unitaria. A livello nazionale il fatto che nessuna delle mozioni abbia avuto la maggioranza assoluta se da un lato ha costituito una difficoltà, dall'altro rappresenta una opportunità, perché si è dovuti passare da un sistema presidenziale negli ultimi anni poco illuminato e molto oligarchico, ad un sistema parlamentare che è l'unico che può evitare scissioni.

Ma chi sarà il prossimo segretario provinciale?

Sulla base dell'idea di praticare la gestione unitaria ed il "sistema parlamentare" interno al termine del congresso provinciale abbiamo voluto rinviare l'elezione del segretario federale: per provare, dopo il congresso nazionale, a costruire a Caserta su alcuni punti essenziali un documento politico unitario che vada oltre le mozioni congressuali, sulla base del quale eleggere il segretario, con candidature libere e senza preoccupazioni maggioritarie. E' questo un modo per desacralizzare davvero la figura del segretario: non una figura espressione lineare di un sistema maggioritario ossificato e immobile, ma l'interprete di una maggioranza definita su una base politica quanto più unitaria possibile e liberamente eletto da un comitato politico con un vincolo di mandato, per cui tutto ciò che non è previsto dal documento è materia del comitato politico stesso che così diventa realmente sovrano, come raramente è stato, nonostante sia così previsto sulla carta del nostro statuto.


E quali dovrebbero essere, secondo te, i punti del documento politico?

Pochi e chiari. Intanto sul piano generale che si riparte dal progetto di Rifondazione e che è necessario rimettere il partito nei luoghi del lavoro e nella società. Che per questo è necessario un maggiore livello di autonomia dal Pd e un supplemente di impegno e di militanza. Che bisogna costruire l'opposizione sociale e politica al governo Berlusconi e alle proposte di Confindustria e che dentro questo processo bisogna lavorare alla costruzione dell'unità della sinistra, avviando le campagne referendarie e costruendo un altro 20 ottobre. Sono d'accordo con Paolo Ferrero quando dice che "il vero problema politico è come si batte la destra populista. Dopo il venir meno del movimento no global a interpretare la crisi del neoliberismo restano le destre populiste. Berlusconi e Tremonti ci hanno detto «stiamo entrando nella crisi» e si sono messi in sintonia con il sentimento di massa. Hanno detto che la coperta è corta e loro difendono il fatto che fuori resteranno i piedi di qualcun altro, l'immigrato, lo zingaro, il diverso. Entrando in sintonia con un sentimento diffuso di paura, la destra salda politiche sociali e securitarie. In questo quadro il Pd dice cose di liberismo temperato che non rispondono a nessuno dei problemi. Il ruolo storico della sinistra è la ricostruzione del conflitto, delle vertenzialità, del mutualismo. Costruire il conflitto del basso verso l'alto invece che quello dei penultimi verso gli ultimi e la costruzione di comunità solidali, non escludenti".

Ma sul piano più propriamente locale?

Come ho già detto prima per me basterebbe intanto ribadire quanto abbiamo stabilito insieme già prima del congresso: costruire, anche a livello provinciale, un profilo più autonomo del nostro partito e verificare dovunque la persistenza delle condizioni politiche e programmatiche per continuare le esperienze amministrative in collaborazione con il PD. In secondo luogo credo sia necessario partecipare pienamente e con proprie posizioni a tutte le vertenze: da quelle per il diritto alla casa e per il lavoro, contro l'insicurezza e la precarietà a quelle per la legalità. da quelle per il diritto all'ambiente e alla qualità della vita a quelle di difesa dell'agibilità degli spazi sociali... In terzo luogo bisogna, secondo me, lavorare ad una piattaforma programmatica provinciale che metta al centro cocciutamente la insicurezza e la precarietà del lavoro, la desertificazione delle aree industriali, la crisi del trasporto pubblico, la tendenza alla privatizzazione dei servizi, a partire dall'acqua, la questione dei rifiuti, la legalità. E che provi a costruire una "vertenza Caserta" con il governo nazionale e regionale, mettendo al centro la proposta della bonifica integrale, la valorizzazione delle aree interne, il rilancio dell'agricoltura e dell'industria leggera applicata.

E all'interno del partito casertano?

Dentro la federazione bisogna favorire il più alto livello di confronto possibile, valorizzando la pluralità di ispirazioni che convivono in rifondazione, promuovendo discussioni ma anche momenti di formazione culturale, politica, teorica gestita internamente e anche provando a costruire collaborazioni con il mondo dei saperi e con gli intellettuali "esterni" non organici al liberismo. Bisogna recuperare i nostri silenzi e le nostre assenze. Sul litorale, nell'agro aversano, sulla camorra ma anche sul degrado civile, umano, politico di aree destinata ad immondezzai. Nei luoghi del lavoro, promuovendo circoli di fabbrica od anche circoli tematici del lavoro, a partire da quello precario e nero, costruendo una opposizione alla tendenza iperconcertativa dei confederali e valorizzando la sinistra sindacale e l'autorganizzazione. Bisogna restituire protagonismo e centralità ai circoli e ai territori. In questo senso penso ad una segreteria che simboleggi la centralità dei circoli e che sia aperta a tutte le sensibilità organizzate e realmente presenti nel partito, rispettosa della composizione politica e allo stesso tempo collettivo unitario, in cui ognuno abbia compiti definiti ed un piano di lavoro.

E quando prenderete queste decisioni?

Se ne parlerà il 10 settembre, data in cui è stato convocato il comitato politico. Ma sicuramente nelle settimane precedenti a questo appuntamento per noi importante vi saranno riunioni delle aree e tra le aree. Un lavorio che spero servirà anche a stemperare le polemiche e ad assorbire i veleni di un congresso che è stato "vero" ma anche piuttosto "cattivo". C'è molto da fare, e bisogna rimboccarsi le maniche.

mercoledì 6 agosto 2008

La campagna sul salario minimo proposta da sinistra critica è una occasione unitaria

di Antonio Casolaro
Necessita a mio giudizio proporre un momento di riflessione comune sulla proposta lanciata dai compagni di sx critica.
La decisione, peraltro abbondantemente prevedibile, di mettere in cigs i lavoratori degli stabilimenti fiat a partire dal mese di settembre prossimo con tutto quello che potrebbe derivare da una crisi strutturale, che Marchionne nega, ma che alcuni segnali confermano come l’estendersi della diminuzione verticale delle vendite in gruppi della portata di GM, Ford e Chrysler insieme alla crisi derivata dai subprime nonché dagli aumenti dei generi alimentari a cominciare dal pane, dalla pasta, dal riso e dalla carne, tutti accelerati dalla madre di tutte le crisi quale è quella connessa allo scoppio dei prezzi del petrolio, aggiunge e legittima ulteriormente motivazione la richiesta. Il movimento operaio è stato sconfitto e con esso sono stati delegittimati i suoi rappresentanti sia concernenti il cd livello economico (sindacati) che politici (partiti).
I sindacati non sono altro che apparati finanziari peraltro di pessima qualità (lo scandalo dei fondi UE sulla formazione che ha investito la Cisl degli abruzzi – si parla di 27 milioni di euro ossia oltre 50 miliardi delle vecchie lire - e si dice anche di altre regioni), la cui funzione è stata definitivamente compromessa e liquidata dai dati dell’Ocse, ma anche della Banca d’Italia e dell’Istat, i quali hanno denunciato la caduta verticale del potere d’acquisto di salari, stipendi e pensioni. Ciò ha messo fine a quella antica disputa tra chi come noi ha sempre praticato la politica del fuori e contro il sindacalismo confederale – cgil,cisl,uil,ugl,cisal- e chi invece individuando nell’unità della classe il valore principale del m.o. si è sempre contrapposto alla rottura del sindacato confederale ed alla liberazione delle lavoratrici e dei lavoratori dalla politica neocorporativa e delle compatibilità praticata appunto da cgil-cisl-uil e ugl. La deriva di oggi pone fine alla disputa anche se insieme all’acqua sporca è stato buttato via pure il bambino.
A ciò va aggiunta la scelta esiziale a partire dal 2002 dei partiti della cd sx antagonista a cominciare da rc di abbandonare il movimento operaio, scegliendo le istituzioni borghesi come sedi di ri/composizione delle esigenze di classe.
Il m.o. è senza rappresentanti e quindi è oggi incapace di costruirsi un percorso se non proprio di rottura almeno di conflitto.
Il salario da sempre è lo strumento politico più efficace per contrapporsi al padronato. Anzi è lo strumento attraverso cui il padronato è spinto ad investire in termini di ricerca per poter rispondere alla caduta del saggio di profitto specialmente quello relativo strettamente legato, com’è noto, alla produttività. Non a caso dal 1992 il potere di acquisto dei salari, degli stipendi e delle pensioni ha subito la più alta decurtazione raggiungendo secondo l’Ocse il 22% in meno rispetto alla media dei salari europei e non a caso nello stesso periodo la produttività si è mantenuta inferiore ai tassi di sviluppo degli altri paesi. Il capitalismo del nostro paese è stato quello che ha investito di meno i R & S ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Non sta a noi naturalmente denunciare queste cose, le quali appartengono alla sfera d’intervento del padronato; le abbiamo citate per denunciare chi come padronato e sindacati per tutti questi anni, con l’avallo dei governi, hanno sottoscritto contratti ed accordi platealmente inferiori alle necessità delle lavoratrici e dei lavoratori. Necessità non soltanto in termini salariali, ma anche per quanto concerne il salario sociale, come le pensioni, la sanità, la casa.
Il governo di dx ha sposato integralmente le tesi di confindustria, concordando con l’ausilio del sindacato la liquidazione del contratto di lavoro di primo livello, aprendo alla costruzione di fatto dei contratti individuali e di territorio. A ciò va aggiunto l’aumento della giornata di lavoro disposta dall’UE con picchi fino a 65 ore settimanali. Il salario assume definitivamente la funzione dipendente dell’orario e della produttività.
Il recupero del protagonismo non avviene con lo scrocchiar delle dita, anzi tuttaltro. E’ un’azione di lunga durata e si consolida con la conquista della fiducia innanzitutto delle lavoratrici e dei lavoratori. E’ il risultato di una propaganda che convince per la pratica del risultato e la teoria che lo sostiene. Bisogna rimmergersi nelle acque del movimento operaio per tentare di recuperarlo alla sponda dell’antagonismo o come già stato detto magari a quella del conflitto.
La campagna sul salario minimo è una occasione.
Sx critica ha redatto un ottimo vademecum che potrà essere distribuito a quelle compagne e a quei compagni comunitare/i, extracomunitarie/i, italiane/i con le quali e con i quali potrà essere aperta una interlocuzione, al fine di prevedere la fissazione, dopo un’ampia e consapevole discussione sui vari aspetti della campagna, di un calendario d’intervento nei luoghi di lavoro innanzitutto per tentare di costruire un nuovo rapporto di massa.
Intorno a questi punti è possibile incontrarsi in una sede ed in un giorno da stabilire per valutare l’opportunità di calendizzare un intervento sul territorio finalizzato alla raccolta delle firme per la legge d’iniziativa popolare sul salario minimo, la cui proposta è stata depositata in cassazione il 18 giugno 2008.
Un saluto. Antonio Casolaro

sabato 2 agosto 2008

Da Napoli: migranti sfollati nel centro storico. Una proposta.

Trovo molto grave che la vicenda degli sfollati di via Trencia abbia trovato la non accoglienza da parte dei cittadini della mia Municipalità e precisamente quelli che ieri sera hanno manifestato a ridosso della scuola Pasquale Scura.
Il colore della pelle o la differenza di razza ha scatenato una intolleranza che non ha precedenti nella storia della nostra citta'. Tutta la mia solidarieta' agli sfollati migranti ed una proposta : riaccogliere i circa 90 migranti nella grande struttura dell'Ex Ospedale Militare ai quartieri Spagnoli, una struttura di 33.000 mila metri quadri che potrebbe momentaneamente risolvere tale crisi. Si potrebbe allestire in poche ore, in una delle palazzine presenti nel Parco dei Quartieri Spagnoli, una buona accoglienza. Spero che il Sindaco intervenga direttamente e nel piu' breve tempo possibile-
Pino De Stasio . Consigliere P.R.C. seconda Municipalita' Napoli

Il partito trasformato

di Mimmo Firmani (circolo PRC Frattaminore)

Da pochi giorni si è concluso il Congresso provinciale del P.R.C. napoletano.

Ho sostenuto con convinzione, oggi più che mai, il documento Acerbo. Mi sono pubblicamente dissociato, con analoga convinzione, dalle ignobili e incivili accuse mosse nei confronti di Forgione e Migliore da parte di un tizio sul blog di Ramon Mantovani.

Ciò premesso, senza alcuna forma di manicheismo e da meridionale orgoglioso, non considero “para-leghiste” alcune personali riflessioni sulle vicende che hanno caratterizzato l’intera fase congressuale.

Ho stima del riconfermato segretario Andrea Di Martino, più di quanta non ne abbiano molti suoi sostenitori. Non ho condiviso nel metodo e nel merito la proposta della sua candidatura, ho considerato molto deludente la sua relazione introduttiva, non l’ho votato. Tuttavia lo rispetto, così come rispetto l’esito del congresso, pur non condividendolo.

Ho meno stima e meno rispetto dei meccanismi e delle pratiche messe in atto per garantire tale esito.

Non scopriamo oggi le lacune del pluralismo nella nostra Federazione, potrei citare decine di casi più o meno significativi, dalla prolungata indisponibilità delle 5 mozioni da distribuire ai circoli(con la contestuale iperabbondanza delle sole sintesi del doc.2) al modo in cui è gestito il nostro sito internet provinciale ecc., ma queste sono sciocchezze, tuttavia est modus in rebus. Qualcuno un domani vorrà essere così gentile da spiegarmi come mai il sottoscritto, e non solo, per ritirare le tessere si sia dovuto recare giustamente in Federazione e pagarle giustamente alla consegna, mentre altri, molti altri hanno potuto ritirarle a margine dell’iniziativa con Vendola, o durante lo svolgimento dei congressi dei circoli limitrofi.. E sui pagamenti…lasciamo perdere.

Sarà poi una coincidenza, anche se molto curiosa, se in svariati circoli il dibattito reale si sia svolto in presenza di pochi compagni, con pochissimi interventi, e che al momento del voto i circoli si siano trasformati in seggi elettorali, anche in virtù dei famigerati nuovi iscritti, figure ormai leggendarie, che accorrono in massa per “ricostruire” il nostro partito. E lo fanno, guarda caso, votando tutti (dico tutti) per lo stesso documento . Ho fatto il relatore del doc.1 in 6 circoli, il garante in un altro circolo, ed ho direttamente assistito allo svolgimento di altri 3 congressi :in questi circoli degli oltre 100 nuovi iscritti TUTTI votano il doc. 2(tranne uno ad Arzano), nessuno si sente in dovere di intervenire al dibattito(fatta eccezione per una giovanissima e simpatica nuova iscritta di Mugnano), molti risultano accomunati dai cognomi e dagli orari di presentazione. In un circolo che non cito per pudore, rinunciammo ( tutti i relatori) addirittura alle repliche per assenza integrale di dibattito. E’ questa la sinistra di popolo su cui dovremmo puntare? Tutte coincidenze, per carità. Ma ad un veterocomunista diffidente e settario come me sfugge la motivazione politica in base alla quale tutti i nuovi sostengano coloro che avevano già predisposto lo scioglimento del partito fuori dal percorso congressuale. I campioni della partecipazione , o meglio della “suggestione” democratica, che considerano un golpe l’aver restituito la parola agli iscritti dopo i disastri che hanno combinato senza consultare nessuno, quelli dell’”andremo avanti, chi ci sta ci sta”, quelli delle 10.000 tessere dell’Arcobaleno già stampate, quelli di Franco Giordano (unico uomo nella storia repubblicana della sinistra italiana ad essere eletto Segretario fuori dal congresso).

Mi si risponde che storicamente nel nostro partito al Sud si è avuta una maggiore partecipazione, che è l’effetto Vendola. Già, perché in Puglia il P.R.C. è al 41%, così come in Calabria dove siamo così radicati da avere più iscritti che voti. Per non parlare di Napoli, la mia Napoli, dove siamo così forti che la stampa locale e non solo accusa Bassolino di essere subalterno a Rifondazione. E mi fermo con la mia ironia “para-leghista” intrisa della “cultura del sospetto”, anche perché qualcuno potrebbe dirmi che anche nei circoli x e y si sono verificate cose simili (per la serie soffermiamoci sulle eventuali pagliuzze ed ignoriamo le gigantesche travi), che il regolamento lo abbiamo voluto “noi” (che ricorda vagamente ragionamenti del tipo “in 20 mesi di governo Prodi non avete disciplinato il conflitto d’interessi, quindi è giusto che ci sia”).

Ed eccoci alla relazione di Di Martino, priva di un minimo di autocritica (tralascio per affetto le considerazioni sulle argomentazioni gastronomiche), che giustamente critica il sopracitato tizio del blog, anche in virtù di una impostazione tesa a “curare la nostra comunità”. Peccato che si dimentichi di criticare Sansonetti, che non è un tizio, bensì il direttore del giornale di tutto il partito, che in prima pagina sputa fango su tutta la nostra comunità politica, contro 4 mozioni su 5, contro la Commissione di Garanzia che rappresenta tutti…ci mancava solo che in quell’indecente editoriale si dicesse che dei giudici comunisti stanno facendo un uso politico e criminale della “giustizia” per colpire il grande leader che contestualmente dichiara : “La Cassazione è il nostro popolo” (delle libertà aggiungo io). Ancora ieri Alfonso Gianni torna parzialmente sull’argomento definendo “inammissibili”certe decisioni.

Ciò che è inammissibile è l’introduzione del principio in base al quale poiché non si condivide qualcosa, non si rispetta neanche. E allora, compagno Gianni, garante del Congresso della mia Federazione, se seguissi la vostra impostazione dovrei ritenere inammissibile e/o non rispettare l’intero congresso provinciale? Un Congresso iniziato il 6 Giugno, mentre sui giornali già si annunciava lo stesso giorno( sic!) chi doveva essere il segretario ? Io sono estraneo, per formazione, ad una impostazione di tipo scandalistica, e non voglio cavalcare la polemica relativa al “partito degli STAFFISTI”, ma non si può negare che una quota rilevante della platea dei delegati era ed è in totale CONFLITTO D’INTERESSI (sono disposto a fare nomi e cognomi se qualcuno volesse provare a smentirmi). E mi fermo qui.

E’ altresì “inammissibile” la degenerazione e il degrado a cui si assiste anche nel nostro partito da qualche anno a questa parte, all’introduzione di logiche e pratiche, diciamocela tutta, CLIENTELARI. E’ poi fisiologico che il confronto si sposti dal terreno politico alla difesa di ALTRO, fino a giungere non solo ad alimentare il mercato delle tessere, ma anche l’inedito MERCATO delle DELEGHE (sapete bene di cosa parlo). Con buona pace del DISINTERESSE e della DIVERSITA’ berlingueriana, che dovrebbe contraddistinguere il nostro agire politico. Se a ciò si aggiunge il dilagare del carrierismo, del verticismo, dell’assessorismo e la nuova generazione dei giovani “galoppini”, il quadro diviene inquietante, soprattutto alla luce della sempre più marcata tendenza alla concentrazione degli incarichi e delle deleghe( qualcuno, forse intenzionato a sfidare il Saddam dei tempi d’oro, è contemporaneamente Sindaco, consigliere provinciale, membro del cpf, delegato al congresso regionale, delegato al congresso nazionale….indovinate per chi ha votato?).

Ma di questo i nostri grandi dirigenti, compreso qualche campione nostrano della “questione morale”, non si scandalizzano. Alcuni di loro, probabilmente distratti dall’obiettivo dichiarato di “eliminare” un “cattivo” compagno di mozione, non si degnano di stigmatizzare il malcostume imperante, o di dissociarsi dall’inqualificabile decisione di votarsi a maggioranza il Presidente del Collegio di Garanzia, o di non votare contro l’Odg che proponeva una maggioranza qualificata per disporre del simbolo e del patrimonio ( già, il patrimonio..e in ogni caso complimenti ai giovani vendoliani per lo spirito critico e per la capacità di sapersi indignare quando si supera ogni limite). Così come tuttora non si comprende il rifiuto relativo al differimento dell’elezione del segretario al dopo Chianciano ( come sta accadendo in diverse federazioni). Si sarebbe evitata una irresponsabile spaccatura, votando alle 23.30 (molti di noi erano lì dalle 09.30 ), senza verificare la presenza del numero legale , racimolando solo 59 voti, cioè 3 voti sotto la soglia del numero legale garantito solo dalla presenza dei compagni dei doc. 3 e 4.

Tutto ciò per “portare a casa” il risultato ad ogni costo. Io invece mi sono portato a casa una profonda delusione, ma rispetterò questo segretariato. Rispetterò pur non condividendo. Rispetterò pur contrastando. Perché questa è la mia umile cultura politica, quella di chi considera la propria Cassazione il Partito, il suo Statuto, i propri organismi dirigenti (più o meno graditi).

Resta il rammarico nel constatare che 14 anni fa mi sono iscritto ad un Partito che aveva e che dovrebbe avere l’ambizione di trasformare la società, e che, giorno dopo giorno, specie nelle nostre zone, è stato in parte “TRASFORMATO” dalla società, e , per dirla tutta, dalle dinamiche peggiori della società.

P. S. Il circolo di cui faccio parte , Frattaminore, pur avendo un direttivo uscente integralmente schierato con il doc. 1 , non ha tesserato alcun nuovo iscritto, neanche un familiare alla lontana, né altri. Il nostro congresso si è svolto in data 27-06-2008, per consentire all’unico compagno che votava il doc. 2 ( che lavora a Cassino) di essere presente, sacrificando la presenza di 3 compagni che avrebbero votato il doc.1.

P.P.S. Il sottoscritto avrebbe avuto tutto l’interesse ( chi mi conosce sa di cosa parlo) a praticare il cuius regio, eius religio. Ma sarebbe stato incompatibile non con lo Statuto, ma con l’etica di chi non si vergogna di essere un comunista.

L'alba nuova

Sono convinta del risultato del congresso di Chianciano, perché esprime una scelta chiara e indica la volontà di virare a sinistra, che è la direzione che occorre perseguire in questo momento di grave emergenza democratica, di strapotere della logica e dei meccanismi del capitale, di crisi economica, sociale e morale, di mancanza di prospettive e aspettative di un mondo diverso, in Italia e fuori.
Chi dice che il comunismo è morto, si sbaglia. Forse ha subito aggressioni particolarmente pesanti in questa nostra Europa, stretta dalla necessità di galleggiare per evitare la deriva nella mondiale competizione imperialistica, ma si mostra ancora in salute in molti luoghi dell’America del sud, dell’Africa e dell’Asia, e anche nei pochi paesi europei in cui i partiti di ispirazione marxista stanno riconquistando consenso, a dimostrazione che il capitalismo non vince di necessità nè corrisponde a “natura”.
Rifondazione ritrova se stessa, confermando, pur a seguito dei vari e riusciti tentativi di progressivo allontanamento dall’ideale e dalle pratiche comuniste, gli intenti che portarono alla scissione dal P.C.I., intenti che il processo di costituente della sinistra di Vendola avrebbe definitivamente e sinceramente tradito. Mi riferisco alla tesi di una certa parte del partito di accettazione definitiva della sconfitta, con il conseguente inaccettabile corollario di atteggiamenti filogovernativi e trasformisti che accompagna sempre chi ritiene ormai tutto perduto.

Rifondazione ritrova la sua identità, che non è una cattiva parola, come spesso in nome di chissà quale “modernità” si vuole far passare. Una cosa è essere identitari, altra cosa è essere settari. Rifondazione adesso è chiamata a un impegnativo lavoro di apertura all’interno e all’esterno del partito.
All’interno attraverso la riaffermazione dei principi di democrazia, per restituire la voce e il giusto riconoscimento ai compagni dei circoli, trascurati e oscurati per troppo tempo da troppo potenti personalità mediatiche, perché non accada più che dall’alto si imponga un cartello elettorale suicida, si rinvii un congresso, si decida per tutti insomma. A questo scopo sarebbe opportuno valorizzare le esperienze dei compagni tramite attivi di circolo, federali, ecc…perché il confronto e la testimonianza valgano a una più generale maturazione politica e garantiscano in ogni istante l’aderenza alle necessità della nostra base.
All’esterno Rifondazione dovrà costruire un dialogo non sempre facile, tuttavia non impossibile, con le altre posizioni non liquidazioniste, con tutti i lavoratori, con i movimenti e le associazioni che praticano una politica attiva e edificata sui diritti della cittadinanza in termini di informazione, consultazione, libera partecipazione e libero confronto.
E se, riguardo al primo punto, qualcuno oggi volesse ricordarci che la attuale maggioranza risulta dalla convergenza di tre mozioni in un primo momento presentatesi sciolte al congresso, potremmo sempre rispondere che in ogni caso non sarebbe esistita una maggioranza assoluta, che il documento finale sintetizza e soddisfa tutte e tre le mozioni, evitando di entrare in polemica con il sottolineare che, se è stato possibile governare con Mastella, non si comprende perché non potrebbe essere possibile comprendersi tra comunisti, o ancora che le minoranze contano, se è vero che si reagisce a una sconfitta proclamandosi minoranza, quando fino a qualche momento prima si aborrivano le minoranze. Riguardo agli argomenti più delicati, come presentarsi alle europee, come regolarsi nelle amministarzioni locali, si ragionerà cercando di far prevalere il buon senso e nella consapevolezza che non si può più sbagliare, chè sarebbe fatale una seconda volta, ed evitando soluzioni semplicemente politiciste.
Più delicato, piuttosto, il rapporto con la cosiddetta sinistra “diffusa”.
La sconfitta di aprile non è avvenuta solo nell'impostazione politica, nelle alleanze. E' stata una sconfitta nella società stessa ed è per questo che bisogna ripartire dalla società, bisogna lavorare sul corpo vivo delle dinamiche sociali. C'è tanta sinistra diffusa, ma finchè non si riuscirà ad aggregarla, essa rimarrà solo forza sociale e non politica, incapace di mutare la società italiana.
l'opposizione sociale nascerebbe ugualmente, come contrasto all'azione di governo che colpisce strati diversi di una popolazione allo stremo salariale. Quanto all'opposizione politica, il discorso sarebbe assai più complicato.
Il che non implica che il partito si sciolga nelle soggettività altre, ma che si assuma il proprio compito storico: far ri-conoscere alla classe che le proprie difficoltà dipendono dal sistema capitalistico, da un sistema di appropriazione ingiusta e classista. Non è necessario pensare a chissà quanto articolate forme nuove di partito: si può ripartire da Carrara, evitare leaderismi, ridare centralità alla questione morale, rafforzare nei ruoli della dirigenza il senso del “servizio” e non del “potere”, insistendo sul rispetto della base più che sull’indipendenza politica da parte dei rappresentanti, ruotando le cariche e affidandole di preferenza a volti nuovi e, perché no, lasciando che a occuparle siano dei lavoratori. Sarebbe un bel cambiamento, o no?
Quello che voglio dire è che, piuttosto che fare il processo alla forma-partito, sarebbe già utile una sua rigenerazione, sarebbe già utile liberarlo dai nocivi tatticismi delle soluzioni particolari e spingerlo verso una proposta politica generale e omogenea in base alla quale poi schierarlo a sostegno di istanze diverse che provengono dal territorio. Trovo errato il giro secondo il quale si condividono tutte le istanze, indistintamente, interpretandole come possibili occasioni di ritorno del consenso; credo che il giro debba essere proprio inverso e che il partito, solo dopo aver elaborato una posizione riguardo a una questione, offrendone la sua interpretazione, possa decidere di sostenere questa o quella battaglia particolare.
E’ il momento della chiarezza. In uno dei suoi discorsi durante il congresso Ferrero non ha esitato ad ammettere il rischio di una divisione dalla mozione due, se non fosse stata espressamente respinta la costituente della sinistra. Con la stessa chiarezza si deve ammettere che non è necessario aderire a tutte le iniziative di massa, a prescindere dal loro contenuto; che l’unità della sinistra è solo un obiettivo politico, anche in vista delle prossime elezioni europee, e che, per superare la crisi, vanno restituiti riferimenti certi ai lavoratori; che non basta cogliere le occasioni di consenso contro il governo Berlusconi, ma si deve essere capaci di organizzare forme vere di contrasto (mi si perdoni la franchezza, ma il tutto è detto con le migliori intenzioni possibili).
E così, chiudendo sul rapporto con l’esterno, ritengo che il partito politico debba continuare a rappresentare non il fine della politica, ma il suo strumento di diffusione, di informazione orientata, di conoscenza del mondo, e che, oltre a difendere le parti deboli della società, debba organizzarle secondo una struttura che porti ad una redistribuzione equa del capitale, offrendo nello stesso tempo ai referenti gli strumenti per creare alternativa di sistema.
Sono delusa della reazione di Vendola alla sconfitta in congresso. Abbandonando il self-control ha minacciato “una campagna di iscrizioni per arrivare a capovolgere la linea di maggioranza, e quanto prima … una manifestazione” e ha scelto di rimanere fuori dalla segreteria. Non lo trovo troppo lineare come comportamento. O si resta dentro il partito, accettando gli esiti del congresso e recuperando i possibili contatti programmatici, o si va via. Non si resta a fare battaglia da dentro per paura di bruciarsi fuori dall’istituzione partitica, restando però disponibili fino alla prima buona occasione di passaggio verso nuove opportunità.
In queste ore qualcuno appare preoccupato di un passaggio di Vendola e dei suoi sostenitori al Pd; ma credo che il 47,3% tanto ostentato di militanti “coltivati” in più di un caso nell’ultimo periodo, si ridurrebbe sensibilmente…
Forse il vero problema sarà non il raccordo tra i comunisti, quanto il rapporto con l’area vendoliana. Si riuscirà a fare in modo che Liberazione sia il giornale del partito e non, nella mutata situazione, contro il partito? Bisognerà fronteggiare un partito nel partito che continuerà a organizzare incontri ed iniziative con i settori della sinistra non comunista, lavorando ancora nella prospettiva di un partito della sinistra a-comunista.
C'è il problema dei territori e della presenza nelle federazioni: quale linea prevarrà caso per caso?
Il cammino è appena cominciato ed è tutto in salita. In autunno inizierà una sfida difficilissima ed estrema. Approfittiamo della pausa estiva per raccogliere le idee e proporre poi una linea politica sintetica, schematica, netta e chiara a tutti. Giusto come spunto:
organizzazione ai vari livelli;
elaborazione teorica;
analisi del tessuto lavorativo e sociale, individuazione e ridefinizione dei referenti sociali;
elenco delle priorità e stesura di un programma condiviso;
pratiche e azioni;
modalità di verifica dei risultati e ri-orientamento.

Napoli, 28/07/08

claudia

mercoledì 23 luglio 2008

Questioni di orizzonti

Il dato più rilevante che emerge, se guardiamo ai risultati congressuali parziali, sia quelli pubblicati dalla mozione 1, sia quelli pubblicati dalla mozione 2, informa che, chiunque sia il primo, in termini di consensi individuali delle compagne e dei compagni, per numero dei circoli, delle federazioni e delle regioni, da solo non raggiunge la maggioranza assoluta.

Altro elemento caratterizzante la intera fase pre-congressuale: il clima di scontro, di sfida. Quando si impugnano gli statuti, i regolamenti, quando si ricorre ai magistrati interni o addirittura esterni, vuol dire che, seppur fondatamente, non esiste più fiducia reciproca ed appare concreto il rischio di una scissione. La settima? Ma non è tanto un problema di numeri, quanto di significati. La separazione più grave e più dolorosa è quella dei tanti e delle tante che si sono allontanati a poco a poco dal partito, silenziosamente, nell’ultimo breve o medio periodo, scontenti, delusi, traditi.

Nel testo che ho appena letto, e cioè la proposta di documento conclusivo che è stata presentata al Congresso della federazione di Napoli da parte dei compagni della prima mozione col titolo “Per un nuovo Inizio, fuoei e dentro il Partito”, con primo firmatario Rino Malinconico, scorgo una sofferta ma spietata autocritica e penso che da ogni bilancio, anche il più disastroso, si può ricominciare a proporre criticamente un programma di ricostruzione. E’ proprio il tono che mi ha orientato alla mozione 1, che avrei votato se ne avessi avuta facoltà. Mentre mi risulta fastidiosa la supponenza di molti passaggi della mozione 2. Questo tanto per cominciare.

Giustamente il documento insiste sulla necessità di una opposizione rigorosa della sinistra oggi, specialmente in un’Italia minacciata dall’avanzata più o meno visibile di un nuovo fascismo, che usa per esempio l'emergenza per introdurre elementi di stravolgimento degli ordinamenti, come dimostra il caso rifiuti o la questione immigrazione; che interviene nelle questioni del lavoro con affondi disorientanti con cui, mentre si detassano gli straordinari, si cercano accordi con i sindacati per i contratti nazionali; che ha già dimostrato la sua durezza su temi cruciali come quello dei diritti (penso agli ultimi provvedimenti in materia di intercettazioni), ma anche attraverso un uso disinvolto dell'esercito; che diffonde l’episodio del portafogli rubato al Pigneto come vera emergenza sicurezza e tace, orizzontalmente, sul fatto che ci sono imprese private in Italia che si chiamano mafia, camorra, ‘ndrangheta che rappresentano una importante quota del Pil e che producono centinaia di morti; che trasforma il fastidio in emergenza e emargina dal dibattito politico il fatto che alcune regioni italiane sono sottratte alle leggi dello stato; e ancora tace sul fatto che questo è un Paese in cui abbiamo un bollettino da guerra civile per i morti sul lavoro.

Si propone, dunque, di uscire dal congresso con una “convergenza unitaria di tutte le energie del nostro partito”, per evitare “una situazione di stallo politico” che potrebbe determinarsi per la mancanza di una linea guida certa e condivisa.

L’esperienza della Sinistra Arcobaleno ha dimostrato che un’unità che fosse coerenza, coesione, condivisione e pari sovranità è cosa ben diversa da un’unità astratta e capace solo di produrre e sommare spesso diffidenze reciproche. Non è facile ammetterlo, però è molto coraggioso e leale, e dimostra tutta l’umiltà di chi ancora si interroga sul fatto e l’a farsi. E’ il punto di partenza.

Interrogarsi su come si ricostruisce un'opposizione efficace è un terreno possibile di discussione, è l’argomento che può ricompattare le varie voci della sinistra, unite certamente nella lotta al governo Berlusconi. Anche se la lotta contro Berlusconi non può essere l’unico argomento, e bisogna allargare la riflessione a contenuti e sensi. Anche il governo dell’Unione ha dimostrato che non è in termini di pura coalizione anti-qualcuno, di semplice assemblaggio di pezzi che si ricostruisce la funzione di una parte politica, tant’è che lo stesso documento reclama con forza una “discontinuità” rispetto ad esso e rispetto a logiche politiche estranee alla sinistra. E’ questo il momento di ritrovare i veri compagni di strada, con cui condividere la scelta delle tappe intermedie e fissare la meta ultima del viaggio. I riferimenti devono essere netti.

Solo in questo documento trovo chiaramente espresso un elenco di priorità intorno alle quali organizzare una opposizione significativa, un'opposizione credibile che muova da un'idea alternativa di società rispetto a quella berlusconiana fondata sul dominio sociale dell'impresa. Solo in questo scritto (e si badi bene, neanche nel documento Acerbo!) si sostiene la immediata rimessa in discussione di tutte le alleanze locali e regionali che non abbiano prodotto realmente “trasformazione” e che, non riuscendo ad ottenere dalle alleanze alcun beneficio per i referenti sociali, ci abbiano, addirittura, fatti percepire quasi ovunque come “uguali agli altri”. Solo qui vedo “altro” oltre l’opposizione a Berlusconi, vedo in lontananza, ma già chiaro nei contorni, un nuovo modello di società, costruita nei termini della civiltà.

A questo punto dovremmo chiederci: la sinistra che immaginiamo in questa fase di voler riproporre con una funzione di opposizione, che cosa pensiamo debba essere? Per me non si può pensare all’unione di tutto ciò che è all’opposizione, non sarebbe una buona partenza.

La tolleranza del dissenso è una primaria necessità in una organizzazione che si propone la RIFONDAZIONE di una pratica del COMUNISMO, ma è anche vero che talora si rilevano punti di dissenso insanabili.

Il riferimento deve essere un sistema di relazioni in cui si unisca la politica classicamente intesa a soggettività differenziate che stanno nella società, nelle professioni, nel lavoro, nella stessa rete, ma che necessariamente guardino verso lo stesso orizzonte.

E’ questo il momento dell’urgenza dell’azione, ma anche il momento per rafforzare l’ elemento di ricostruzione dei nessi sociali e di un impianto simbolico. E non è assolutamente vero che le due cose si oppongano come pratica e teoria, come presente e passato, chè anzi i fatti, quando c’è coerenza, sono sempre agiti in virtù di una particolare visione della realtà.

Claudia

P.S. Credo che, nonostante non sia stato accolto, il documento napoletano della mozione uno abbia comunque contribuito al dubbio, almeno stando ai numeri che leggo che, rispetto alle percentuali dei votanti delle varie mozioni, dimostrano un più largo numero di consensi. E’ questione di “orizzonti”, più o meno ariosi, e di capacità di analizzare le situazioni nella loro reale portata.

Non sono iscritta al partito, ma ho sempre votato per Rifondazione. Per favore, superate gli scontri e piuttosto ritrovate una linea politica che ci appassioni.

Verso l'alternativa di società: una recensione dei "Sette dialoghi sulla crisi della sinistra"

di Rita Bentedui

Ricorda Giovanni Russo Spena, nella introduzione all’agile libro di Rino Malinconico, Compagni avanti il gran partito (pp. 124, Edizioni Melagrana Onlus, € 5.00), come il nostro tempo sia quello complesso dello "stordimento" e dello "sciame inquieto" descritto da Bauman. Proprio per questo il viaggio, anche il “viaggio” politico, costituisce la modalità più consapevole di assunzione delle difficoltà e, al tempo stesso, un tentativo pressoché spontaneo di recuperare senso. Il viaggio che prospetta Malinconico è fatto di parole e si configura come un nuovo inizio, come un cammino che riprende, ma con altre modalità e altre angolazioni di marcia, dopo una “catastrofe” reale, cioè dopo il rovesciarsi obiettivo delle possibilità e l’interruzione obbligata del percorso. Il sottotitolo del libro – Dialoghi all’indomani della sconfitta - chiarisce immediatamente che stiamo parlando di una impresa collettiva, quella di Rifondazione comunista e della sinistra di alternativa, di uomini e donne posti improvvisamente di fronte alla crisi delle loro ragioni e della loro stessa identità. La pesante sconfitta elettorale del 14 aprile è declinata, infatti, come “rivelazione” di una disfatta ancora più grave, avvenuta già prima nel profondo della società. Restano certamente ancora vive le ragioni della speranza, ma un’intera fase storica s’avvia a conclusione. L’espediente narrativo di un dialogo che si articola in sette giornate non solo dà chiarezza all’argomentazione, ma coinvolge il lettore nel fluire di pensieri ed emozioni che attraversano, come un fiume in piena, una comunità vasta, certamente ferita, ma ancora straordinariamente ricca di saperi e di slanci ideali.

I tre militanti di Rifondazione Comunista (allusivamente, e irriverentemente, indicati coi nomi di Carlo, Federico e Rosa) che discutono a caldo, tra la fine di aprile e l’inizio di maggio, del dato sancito dalle urne, danno perciò voce a interrogativi diffusi e a brandelli di risposte, in un incedere che si presenta serrato nella esposizione ma anche emotivamente denso di vissuto. La tesi di fondo è che la crisi della sinistra di alternativa viene da lontano. Osserva Carlo, nel terzo dialogo: “noi abbiamo ragionato sul presupposto che avevamo alle nostre spalle una eredità formidabile, e cioè il grande radicamento sociale del Partito comunista italiano; e semplicemente per un inganno, perché qualcuno aveva alterato il “testamento”, non riuscivamo ancora ad entrarne liberamente in possesso… Abbiamo pensato questo: che avevamo già una base naturale di massa; e ciò solo perché ci sentivamo soggettivamente gli eredi di un passato. E per di più lo abbiamo pensato in un’epoca nella quale non solo le soggettività politiche venivano messe a torsione, ma anche le soggettività sociali. Non solo quel popolo non era “nostro”, ma era anche scomposto come tale; e anche ora deve ancora ritrovarsi come soggettività”.

La riflessione dei tre amici e compagni si allarga dunque alla realtà del conflitto sociale, alla critica del capitalismo, alla possibilità del comunismo. Ne esce fuori un giudizio preciso sul Novecento, che si è chiuso ovviamente per tutti, ma che a coloro che intendono mantenere vivo il riferimento al comunismo consegna tre ineludibili questioni: la nuova dislocazione del valore e la conseguente crisi della dialettica sociale; le nuove forme storiche della democrazia e la conseguente crisi della dialettica politica; la parabola storica delle formazioni comuniste e la conseguente crisi della forma-partito. Non sono tematiche che si risolvono in un documento, in un libro, in un dibattito. Per Malinconico non si tratta neppure di definirle in termini analitici ma di assumerle piuttosto come paradigmi fondativi del modo di essere dei comunisti del nostro tempo, muovendosi “non già dall’esterno ma proprio all’interno dello spazio che esse segnano nella storia e ci consegnano nel vivere concreto”.

Non bastano più le vecchie certezze: i “comunisti togliattiani”, che hanno proceduto con una continua “scissione concettuale e pratica tra programma massimo e programma minimo, tra strategia e tattica, tra ideali e pratica… sono stati come i panni logorati dal troppo uso, che alla fine non si riconoscono più neppure nel colore e nel disegno”; e simmetricamente gli altri, “bordighisti e trotzkisti di vario segno”, che hanno concepito “l'identità comunista, come avanguardia che si preserva e si prepara ad intercettare le dinamiche della società dentro gli scenari di crisi... sono stati come i panni riposti nei cassetti che, a poco a poco, ingialliscono, si tarlano, perdono di consistenza e diventano sostanzialmente inservibili”. Occorrono allora altri modi di essere e altri contenuti. Malinconico spinge i suoi personaggi a cimentarsi con un nuovo lessico politico:


C… Proprio perché è intervenuta la totalizzazione del rapporto di capitale, con la connessa integrazione di economia, politica e società, il punto di partenza di un discorso di liberazione dovrà oltrepassare necessariamente le colonne d’Ercole dell’orizzonte emancipativo: non potrà che incentrarsi sul “senso umano”, sull’”istinto di sopravvivenza” dell’uomo, quello che appunto resiste alla sua metamorfosi in merce e fattore produttivo.

R. In concreto?

C. In concreto: corpo, affetti, cultura, natura. Da qui si dipana, può dipanarsi, una nuova prospettiva di antagonismo e trasformazione. Dobbiamo prospettare cioè una rivoluzione anzitutto antropologica, e solo in questo senso anche sociale e politica.

R. Capisco dove vuoi arrivare: dobbiamo partire dagli esseri umani, non dagli assetti sociali.

C … Non dobbiamo avere timore a pronunciare parole come “cittadinanza” e “diritti”, “umanità” e “persona”. D’altronde abbiamo sempre saputo che a coronamento della trasformazione sociale, ci doveva essere una “nuova umanità”, uno sbocco antropologico. La novità è che quest’orizzonte oggi, nell’epoca della “totalizzazione del rapporto di capitale”, non viene più “dopo”; bensì accompagna fin dall’inizio l’antagonismo e la spinta rivoluzionaria. L’accompagna costitutivamente, nel senso che ne ri/definisce le parole d’ordine e gli obiettivi”.


Una svolta d’epoca, dunque. Con la difficoltà di generazioni che procedono visibilmente col piombo nelle ali. Quella degli anni ’70, costruitasi all’insegna di una fortissima etica della responsabilità, ma affetta anche da una ricorrente e inguaribile “ipertrofia del soggetto” (Malinconico la definisce generazione “atlanteide”, perché come Atlante ha presunto, e largamente ancora presume, di reggere sulle spalle il cielo), ha cumulato molti, troppi errori, proprio in quanto ha continuamente ricondotto a sé il mondo e il suo movimento; l’altra, quella di Genova e dello slogan “non in mio nome”, ha maturato un individualismo compiuto; ed è attraversata compiutamente dagli stilemi della comunicazione mediatica, e perciò si muove con una curvatura fortemente virtuale delle proprie percezioni: “agli atlanteidi sono succeduti i “narcisi”, ripiegati su se stessi... questo ripiegamento su se stessi è ovviamente figlio dei tempi… Ma un determinato tempo produce determinate figure umane, determinati sensi comuni. Se si ripiega su se stessi e sulla immediatezza del presente, la voce collettiva diviene più difficile a farsi”.

Il quadro che i dialoghi presentano al lettore è davvero poco rassicurante. La forza delle destre, ad esempio, dipende soprattutto da “una spinta storica di fondo, che è tipica del capitalismo dell'età della totalizzazione, in direzione di una società neo-autoritaria e neo-totalitaria. Proprio perché la valorizzazione è legata alla mobilitazione produttiva del corpo sociale, alla cointeragenza dell'insieme, avviene che la tendenza alla irregimentazione del corpo sociale nasca pressoché spontaneamente da quelle stesse dinamiche di sviluppo del capitalismo; e parallelamente si determina una realtà di rinnovata competizione, all’interno dello stesso quadro capitalistico, tra nazioni e gruppi di nazioni tra loro”. Sono spinte che vivono anche nella sinistra governista, ma la destra è avvantaggiata dal fatto che nel suo orizzonte culturale ci sono esattamente le idee del compattamento, della gerarchia, della struttura “ad esercito”. E non vale ribattere che la società di oggi apre largamente al più sfrenato individualismo. Per Malinconico “è un individualismo che rompe, per ragioni storiche oggettive, la dinamica collettiva dell’esser classe “per sé”; ma non è un individualismo che rompe col sistema”, con la spinta prevalente alla omologazione culturale e alla irregimentazione produttiva.

C’è possibilità di reagire? Per i tre amici e per l’autore, questa possibilità c’è. Ma a condizione che si percorrano strade nuove. E ciò anche rispetto alla forma-partito che dovrebbe configurarsi, sartrianamente, come una molteplicità di “gruppi in fusione”, e cioè come un insieme determinato e concreto di presenze, con gli sguardi che reciprocamente si incrociano e con un’attività effettiva e uno scopo reale, e anzi immediato, da realizzare. Un partito da attraversare, insomma, “a raggiera” e non “a piramide”, orizzontale e non verticale, comunista e continuamente innovativo.

Come si capisce, siamo ad un libro breve, ma intenso, che traguarda ben oltre la contingenza del congresso del PRC e si misura coi tempi lunghi della ripresa. E lo fa ammettendo esplicitamente di ignorare se poi esista veramente un possibile approdo. Del resto, come concordemente ci dicono Malinconico e Russo Spena, l’importante è esattamente il viaggio, la nuova ricerca della società "dentro e contro" la globalizzazione liberista. Questi "dialoghi" di Rino Malinconico indicano, con semplicità e rigore, la possibile rotta.