movimentazione / il dibattito

sabato 2 agosto 2008

L'alba nuova

Sono convinta del risultato del congresso di Chianciano, perché esprime una scelta chiara e indica la volontà di virare a sinistra, che è la direzione che occorre perseguire in questo momento di grave emergenza democratica, di strapotere della logica e dei meccanismi del capitale, di crisi economica, sociale e morale, di mancanza di prospettive e aspettative di un mondo diverso, in Italia e fuori.
Chi dice che il comunismo è morto, si sbaglia. Forse ha subito aggressioni particolarmente pesanti in questa nostra Europa, stretta dalla necessità di galleggiare per evitare la deriva nella mondiale competizione imperialistica, ma si mostra ancora in salute in molti luoghi dell’America del sud, dell’Africa e dell’Asia, e anche nei pochi paesi europei in cui i partiti di ispirazione marxista stanno riconquistando consenso, a dimostrazione che il capitalismo non vince di necessità nè corrisponde a “natura”.
Rifondazione ritrova se stessa, confermando, pur a seguito dei vari e riusciti tentativi di progressivo allontanamento dall’ideale e dalle pratiche comuniste, gli intenti che portarono alla scissione dal P.C.I., intenti che il processo di costituente della sinistra di Vendola avrebbe definitivamente e sinceramente tradito. Mi riferisco alla tesi di una certa parte del partito di accettazione definitiva della sconfitta, con il conseguente inaccettabile corollario di atteggiamenti filogovernativi e trasformisti che accompagna sempre chi ritiene ormai tutto perduto.

Rifondazione ritrova la sua identità, che non è una cattiva parola, come spesso in nome di chissà quale “modernità” si vuole far passare. Una cosa è essere identitari, altra cosa è essere settari. Rifondazione adesso è chiamata a un impegnativo lavoro di apertura all’interno e all’esterno del partito.
All’interno attraverso la riaffermazione dei principi di democrazia, per restituire la voce e il giusto riconoscimento ai compagni dei circoli, trascurati e oscurati per troppo tempo da troppo potenti personalità mediatiche, perché non accada più che dall’alto si imponga un cartello elettorale suicida, si rinvii un congresso, si decida per tutti insomma. A questo scopo sarebbe opportuno valorizzare le esperienze dei compagni tramite attivi di circolo, federali, ecc…perché il confronto e la testimonianza valgano a una più generale maturazione politica e garantiscano in ogni istante l’aderenza alle necessità della nostra base.
All’esterno Rifondazione dovrà costruire un dialogo non sempre facile, tuttavia non impossibile, con le altre posizioni non liquidazioniste, con tutti i lavoratori, con i movimenti e le associazioni che praticano una politica attiva e edificata sui diritti della cittadinanza in termini di informazione, consultazione, libera partecipazione e libero confronto.
E se, riguardo al primo punto, qualcuno oggi volesse ricordarci che la attuale maggioranza risulta dalla convergenza di tre mozioni in un primo momento presentatesi sciolte al congresso, potremmo sempre rispondere che in ogni caso non sarebbe esistita una maggioranza assoluta, che il documento finale sintetizza e soddisfa tutte e tre le mozioni, evitando di entrare in polemica con il sottolineare che, se è stato possibile governare con Mastella, non si comprende perché non potrebbe essere possibile comprendersi tra comunisti, o ancora che le minoranze contano, se è vero che si reagisce a una sconfitta proclamandosi minoranza, quando fino a qualche momento prima si aborrivano le minoranze. Riguardo agli argomenti più delicati, come presentarsi alle europee, come regolarsi nelle amministarzioni locali, si ragionerà cercando di far prevalere il buon senso e nella consapevolezza che non si può più sbagliare, chè sarebbe fatale una seconda volta, ed evitando soluzioni semplicemente politiciste.
Più delicato, piuttosto, il rapporto con la cosiddetta sinistra “diffusa”.
La sconfitta di aprile non è avvenuta solo nell'impostazione politica, nelle alleanze. E' stata una sconfitta nella società stessa ed è per questo che bisogna ripartire dalla società, bisogna lavorare sul corpo vivo delle dinamiche sociali. C'è tanta sinistra diffusa, ma finchè non si riuscirà ad aggregarla, essa rimarrà solo forza sociale e non politica, incapace di mutare la società italiana.
l'opposizione sociale nascerebbe ugualmente, come contrasto all'azione di governo che colpisce strati diversi di una popolazione allo stremo salariale. Quanto all'opposizione politica, il discorso sarebbe assai più complicato.
Il che non implica che il partito si sciolga nelle soggettività altre, ma che si assuma il proprio compito storico: far ri-conoscere alla classe che le proprie difficoltà dipendono dal sistema capitalistico, da un sistema di appropriazione ingiusta e classista. Non è necessario pensare a chissà quanto articolate forme nuove di partito: si può ripartire da Carrara, evitare leaderismi, ridare centralità alla questione morale, rafforzare nei ruoli della dirigenza il senso del “servizio” e non del “potere”, insistendo sul rispetto della base più che sull’indipendenza politica da parte dei rappresentanti, ruotando le cariche e affidandole di preferenza a volti nuovi e, perché no, lasciando che a occuparle siano dei lavoratori. Sarebbe un bel cambiamento, o no?
Quello che voglio dire è che, piuttosto che fare il processo alla forma-partito, sarebbe già utile una sua rigenerazione, sarebbe già utile liberarlo dai nocivi tatticismi delle soluzioni particolari e spingerlo verso una proposta politica generale e omogenea in base alla quale poi schierarlo a sostegno di istanze diverse che provengono dal territorio. Trovo errato il giro secondo il quale si condividono tutte le istanze, indistintamente, interpretandole come possibili occasioni di ritorno del consenso; credo che il giro debba essere proprio inverso e che il partito, solo dopo aver elaborato una posizione riguardo a una questione, offrendone la sua interpretazione, possa decidere di sostenere questa o quella battaglia particolare.
E’ il momento della chiarezza. In uno dei suoi discorsi durante il congresso Ferrero non ha esitato ad ammettere il rischio di una divisione dalla mozione due, se non fosse stata espressamente respinta la costituente della sinistra. Con la stessa chiarezza si deve ammettere che non è necessario aderire a tutte le iniziative di massa, a prescindere dal loro contenuto; che l’unità della sinistra è solo un obiettivo politico, anche in vista delle prossime elezioni europee, e che, per superare la crisi, vanno restituiti riferimenti certi ai lavoratori; che non basta cogliere le occasioni di consenso contro il governo Berlusconi, ma si deve essere capaci di organizzare forme vere di contrasto (mi si perdoni la franchezza, ma il tutto è detto con le migliori intenzioni possibili).
E così, chiudendo sul rapporto con l’esterno, ritengo che il partito politico debba continuare a rappresentare non il fine della politica, ma il suo strumento di diffusione, di informazione orientata, di conoscenza del mondo, e che, oltre a difendere le parti deboli della società, debba organizzarle secondo una struttura che porti ad una redistribuzione equa del capitale, offrendo nello stesso tempo ai referenti gli strumenti per creare alternativa di sistema.
Sono delusa della reazione di Vendola alla sconfitta in congresso. Abbandonando il self-control ha minacciato “una campagna di iscrizioni per arrivare a capovolgere la linea di maggioranza, e quanto prima … una manifestazione” e ha scelto di rimanere fuori dalla segreteria. Non lo trovo troppo lineare come comportamento. O si resta dentro il partito, accettando gli esiti del congresso e recuperando i possibili contatti programmatici, o si va via. Non si resta a fare battaglia da dentro per paura di bruciarsi fuori dall’istituzione partitica, restando però disponibili fino alla prima buona occasione di passaggio verso nuove opportunità.
In queste ore qualcuno appare preoccupato di un passaggio di Vendola e dei suoi sostenitori al Pd; ma credo che il 47,3% tanto ostentato di militanti “coltivati” in più di un caso nell’ultimo periodo, si ridurrebbe sensibilmente…
Forse il vero problema sarà non il raccordo tra i comunisti, quanto il rapporto con l’area vendoliana. Si riuscirà a fare in modo che Liberazione sia il giornale del partito e non, nella mutata situazione, contro il partito? Bisognerà fronteggiare un partito nel partito che continuerà a organizzare incontri ed iniziative con i settori della sinistra non comunista, lavorando ancora nella prospettiva di un partito della sinistra a-comunista.
C'è il problema dei territori e della presenza nelle federazioni: quale linea prevarrà caso per caso?
Il cammino è appena cominciato ed è tutto in salita. In autunno inizierà una sfida difficilissima ed estrema. Approfittiamo della pausa estiva per raccogliere le idee e proporre poi una linea politica sintetica, schematica, netta e chiara a tutti. Giusto come spunto:
organizzazione ai vari livelli;
elaborazione teorica;
analisi del tessuto lavorativo e sociale, individuazione e ridefinizione dei referenti sociali;
elenco delle priorità e stesura di un programma condiviso;
pratiche e azioni;
modalità di verifica dei risultati e ri-orientamento.

Napoli, 28/07/08

claudia

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