di Giosuè Bove
Ho ascoltato con piacere la passione e la poesia che Nichi Vendola riesce a mettere anche nel racconto più grigio. L'ho ascoltato ripercorrere il novecento con la dolcezza ed il rimpianto quasi infantile di un epoca, di una epopea, di un mondo: una ballata, che a volte lenta macina memoria, a volte come un fiume che incontra un salto, acquisisce velocità e travolge e suscita sentimenti di orgoglio e di ritorno. E dietro il racconto un impianto analitico condivisibile: la fine del Novecento e di quella composizione di classe, di quella storia, la dimensione della Sconfitta. Come in un bizzarro viaggio in treno, avanti e indietro le immagini di quei braccianti e di quegli operai, del lavoro che da "pietra di scarto diventava pietra angolare": l'alfabeto della nostalgia che lacrima gli occhi e ti riempie il cuore.
E però, proprio per quello che Vendola descriveva, sicuramente meglio di tanti, io ho scelto di oppormi alla costituente della sinistra, cioè ad un tentativo neo-identitario, giocato tutto nel cielo della politica: perché sarebbe sbagliato, contribuendo a rimuovere dall'immaginario sociale l'idea della abolizione dello stato di cose presenti, e inutile, perché al resto del mondo, alla gente normale, al nuovo proletariato precario, di come ti chiami, nel bene o nel male, frega poco, mentre è essenziale quello che fai e come lo fai.
Ci deve essere tra il racconto e le sue conclusioni un rapporto consequenziale, come in un bel film tra lo sviluppo della trama ed il suo finale, che non c'era e non c'è nella proposta della mozione firmata da Vendola. Se la situazione è quella, e cioè la traversata nel deserto, non c'è bisogno di costituenti, ma di radicamenti, non c'è bisogno di dissolvenze ma di materializzazioni. In altre parole non è mettendo insieme ceti politici di partiti o anche di associazioni che si risolve il problema né inventandosi nomi, sigle, simboli nuovi e peraltro paradossalmente di fatto più minuscoli e minoritari di quelli esistenti. Del resto l'unità che costruisce arricchimento è quella capace di sintesi e di rispetto delle differenze, come fu il Genoa Social Forum, come potrebbe essere oggi una rete consiliarista, a snodi territoriali o a forum tematici: dal basso, valorizzando differenze, identità, autonomie.
Ma la questione di fondo non insiste sulla forma: essa ci tocca nel profondo e riguarda il nostro tornare alle radici. Non solo "stare nelle masse e fare inchiesta" ma viverci immersi, nelle medesime condizioni. Vendola ha citato due esempi, la Spagna e la Francia, in cui la sinistra ha seguito strade, a suo parere, opposte (la prima in direzione della "marmellata", la seconda della "atomizzazione") entrambe perdenti. In questo citare e, soprattutto, nel non citato egli ha svelato uno dei perché di fondo della stonatura, della cesura tra racconto e conclusioni: in realtà in entrambi i casi – Francia e Spagna - ci troviamo alla medesima logica della ingegneria politica, impotente di fronte alla Sconfitta, come si è visto anche in Italia con la Sinistra Arcobaleno, il cui politicismo ha aggravato la situazione; e nella mancata citazione della Germania e dell'Olanda vi è una reticenza sulle esperienze che - in forma non neo-identiaria - hanno praticato il radicamento sociale, cioè l'essere pienamente a servizio del popolo, ricostruire così il movimento operaio nella accezione nuova del termine ed una correzione netta del rapporto tra rappresentanze politiche ed istituzionali e soggettività sociali, cioé l'essere "uguali" dal punto di vista del reddito e del modo di vivere delle persone che intendi rappresentare.
La conclusione del bel racconto è stata, insomma, una nota stonata, reticente: di fronte alla lirica della vita, evocata dalle citazioni di Moro, Che Guevara e Gramsci, scappa infine lo strepitio ansioso della ricerca di una nuova identità politica, che appare come il classico arrampicarsi sugli specchi, come una frettolosa negazione dell'altezza maestosa della riflessione sulla sconfitta. Mentre più grande e più saggio sarebbe stato ammettere che dentro la discussione nostra c'è stato un travolgimento ma che è evidente a tutti che la priorità va data alla ricostruzione della soggettività sociale, che oggi è necessario esercitare le nostre poche energie proiettando i nostri circoli, il nostro partito, quel che ci rimane della rappresentanza istituzionale, nella dimensione del "partito sociale", evitando di perder tempo in altre questioni e soprattutto evitando di perdere un altro treno, dopo quello che sciaguratamente abbiamo lasciato partire dalla stazione di Genova in quel maledetto e meraviglioso luglio del 2001.
1 commento:
D’altra parte non mi sembra che si sia discostato di molto dal poeta barese l’etereo milanese nel saggio pubblicato sull’ultimo numero di “Alternative per il socialismo”. Le condivisioni postume sullo “stato dell’arte” servono solo a salvare “l’anima”, laddove viceversa era lo stato reale delle cose che andava affrontato e quindi indagato per pervenire ad un’analisi compiuta per poi concludere sul “che fare” ?
Colpisce la “scoperta” del minoritarsimo dell’oggi della sx rispetto, solo per fare un esempio, alla convinzione espressa all’indomani delle elezioni europee sulla fine del berlusconismo. La crisi della sx forse (uso il dubbio perché non sono depositario di alcuna verità) data dalla sconfitta della Fiat dell’autunno 1980 e dalle conclusioni differenti assunte dalla dirigenza diffusa della sx di allora proprio a cominciare dal Dirigente milanese, così come ce lo ha ricordato non ultima una delle sessantuno licenziate nel suo bel libro di ricordi “a casa non ci torno” per non dire della diffusa saggistica del tempo insieme alla cronaca ed ai ricordi degli sconfitti di allora (simpatico il ricordo della sig.ra Arisio omonima dell’organizzatore della marcia del 14 ottobre 1980 (Luigi Arisio), la quale aderì alla manifestazione dei cd “quadri” per poi allontanarsi col tempo fino a diventare una operatrice sindacale a favore dei pensionati Fiat – una sorta di SignorinaEffe ad litteram).
E’ la classe in se che si è smarrita e dissolta ed i suoi referenti non esistono più. Se il 50% dei lavoratori degli stabilimenti Fiat e quindi di tutte le altre grandi fabbriche e quindi tra gli operai e le operaie diffuse fa uso di cocaina, come ha raccontato Loris Campetti sul Manifesto di maggio, significa che il vento della rottura soffia da anni e anni e può essere datato dai tempi della droga nei campus americani, ma anche qui in questo paese se è vero che già a metà anni ’70 Lotta Continua coniò lo slogan “spacciatori attenti vi spaccheremo i denti”, e se è vero come è vero che la contestazione dei campus delle Università americane come Havard e Berkeley fu sconfitta forse dall’eroina.
C’è molta verità nel quarto capitolo della discussione intercorsa tra C.F. e R del saggio di Rino Malinconico, ma c’è anche forse una indiretta denuncia sul vuoto di analisi, che se presente avrebbe di certo determinato diverse collocazioni e scelte opposte o perlomeno più adeguate ai terribili tempi del movimento operaio.
Dal 1995 ad oggi sono state eseguite cinque o sei riforme previdenziali e tutte a perdere. Dal 1992 il salario, gli stipendi e le pensioni hanno perso di valore. Le famiglie stando ai dati del bollettino di bankitalia sono sempre più indebitate. Di contro i poteri forti a cominciare dalla chiesa a finire ai sindacati hanno continuato ad incassare soldi, sempre più soldi ed ogni giorno c’è qualcuno che gliene riconosce di più.
La giornata di lavoro aumenta (plus valore assoluto), la flessibilità s’incrocia con la produttività ed è rivolta ad aumentarne il saggio di quest’ultima (plus valore relativo), i salari, come si ricava dall’ultimo contratto dei tessili, saranno sempre più territoriali ed individuali, le libertà diminuiscono giorno dopo giorno con la militarizzazione dei territori.
E la sx ? Una volta amaramente e con molto fatalismo si disse: l’ultimo chiudesse la luce. Bloccate l’ultimo., ma che sia di sx !
Antonio Casolaro
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