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martedì 13 maggio 2008

La crisi del progetto dell'Unione e l'esito del voto

di Vito Nocera
contributo al dibattito del Comitato Politico Nazionale del PRC del 10 e 11 maggio

L ‘ ondata di paura e di insicurezza che le destre hanno saputo alimentare e interpretare appare – più ancora dopo la replica romana al risultato del 13 e 14 Aprile – una delle cause prevalenti, unitamente a ragioni più di tempo lungo, dell’esito del voto. La fragilità e la debolezza con cui il vecchio schieramento dell’Unione ha cercato di fronteggiare in questi due anni questo clima che montava sono state sconcertanti. La congiuntura storica e politica aveva assegnato a quelle forze un compito gravoso: tentare di disarticolare il consolidarsi di una nuova egemonia sociale delle destre che si avvertiva stava crescendo nel Paese. Già il risultato del 2006 aveva evidenziato la debolezza di radicamento dell’Unione nel tessuto del Paese. Cinque anni di governo delle destre e di mobilitazioni e protagonismo di tanti movimenti non erano bastati ad una affermazione un po’ più netta. Era il primo campanello d’ allarme. La politica di Veltroni ha fatto il resto. Spostando tutto sul terreno politicista dei rapporti o delle rotture tra forze politiche le quali prive tutte di un autentico e significativo insediamento sociale vi si sono rassegnate.

Che i due anni di alleanza avessero consumato, più per le sue modalità che per le pur notevoli divergenze, la possibilità di riproporre al Paese lo stesso schieramento era chiaro. Ma ciò che è mancato è uno sforzo di costruire un terreno nuovo anche di unità, ideare un altro modo di mettere insieme le forze. Si è pensato in entrambi i soggetti che avrebbero dovuto costruire questo sforzo che fosse chiuso un ciclo, esaurita la necessità di mantenere aperto un filo unitario. In questo modo si è sottovalutata la condizione del Paese, le sue fratture e paure, il suo rimodellarsi dentro il nuovo tessuto di egemonia costruito con paziente intelligenza dalle destre. E’ venuta al pettine l’incapacità, culturale prima ancora che politica, a concepire il tema delle alleanze come questione in primo luogo di carattere sociale. E’ infatti la spiegazione povera di chi alla sconfitta di Roma reagisce ricordando che lì l’accordo con la sinistra c’era. E’ il segno di questa pigrizia di fondo che da un lato ha rotto politicisticamente l’alleanza, dall’altro l’ha riproposta ma con lo stesso schema, povero e asfittico, dunque incapace di produrre un risultato.


Le forze del lavoro e la nuova composizione di classe

Le politiche di compressione della domanda e del salario hanno segnato il corpo vivo del lavoro dipendente spezzando un nesso forte col movimento sindacale a sua volta diviso tra chi si accontentava visto il clima e chi pensava di forzare. Gli uni e gli altri impossibilitati a dare un messaggio di ricomposizione al mondo del lavoro per non parlare di quella nuova composizione tecnica del lavoro fatta di precari, di lavoro cognitivo e immateriale, di cooperatori sociali o lavoratori autonomi autosfruttati, cioè quella composizione di classe che il movimento di Genova aveva depositato e col quale, in particolare noi, facendone un feticcio simbolico, abbiamo mancato l’appuntamento storico e strategico. Privo di questo argine il governo, già indebolito dalle proteste corporative di tante categorie, è andato al confronto con le destre, così capaci di suscitare mobilitazioni sociali orizzontali – privo di una alleanza salda e necessaria, se non con quel movimento grande che ci aveva convinti della possibilità di tentare la sfida del governo, almeno coi sindacati e con ciò che resta delle forze classiche del movimento operaio organizzato. Il ciclo storico che ha caratterizzato l’Italia si è da tempo affievolito. Non è una novità neppure il voto a destra di tanti lavoratori. M negli ultimi dieci - quindici anni la contesa era rimasta aperta. Non a caso lo stesso movimento sindacale, pur tra limiti e problemi, ha continuato ancora ad esercitare un ruolo. D’ora in poi però cambia tutto e il sindacato, quali che saranno le sue scelte, è chiaro che finisce anch’esso duramente sotto attacco.

Il ruolo e gli errori soggettivi di Rifondazione Comunista e la sconfitta di Veltroni


In questo esito drammatico le nostre responsabilità non sono poche. Non abbiamo saputo esercitare quel ruolo necessario a condizionare positivamente la coalizione, per il venir meno certo di una spinta dei movimenti, ma anche per l’incapacità a costruire il peso sulle istituzioni di un disagio sociale più limitato ma comunque vivo.
Parimenti, e quasi come una conseguenza di ciò, non abbiamo saputo conservare quel profilo di sobrietà unitaria necessario in grado non solo di non lacerare ulteriormente i fili di un dialogo in fondo spezzato da Mastella, ma soprattutto di non essere così tanto esposti a pagarne i prezzi, come è avvenuto, anche in caso di rottura. Il fallimento reciproco delle rispettive strategie (Veltroni da una parte, l’Arcobaleno dall’altro) impongono grandi mutamenti. Non solo congiunturali. Perché l’esito cui giunge la vicenda dell’Italia parla di processi profondi inscritti dentro vicende ancora più grandi che hanno trasformato gli stessi assetti del mondo nel corso degli ultimi venti – venticinque anni. Tante illusioni provinciali e di parte si sgretolano al cospetto di fenomeni giganteschi, più di fondo, e anche più recenti, che segnano il violento e pervasivo cambio di volto dell’Italia. In presenza di questo esito nazionale del ciclo lungo del capitalismo dopo l’89, della potenza e della crisi anche della globalizzazione, della nuova e sconvolgente realtà della guerra su dimensioni di fatto mondiali e alla vigilia di un nuovo ciclo di crisi economica drammatica in tutto il mondo, le forzature provinciali sulla nascita del Pd e sulle primarie, le sue ambizioni di nuovismo svaniscono del tutto. Così come appaiono in una luce diversa tante nostre elaborazioni, lo stesso congresso di Venezia, esperienze di positiva innovazione che restano per noi importanti ma che non vanno feticizzate perché anch’esse poco hanno potuto ed inciso nel cuore profondo dei processi materiali che in questi anni mordevano il Paese.


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