Rifondazione Comunista ed in generale la sinistra politica in questi ultimi anni, nel tentativo di rendere permeabile il governo di centro sinistra alle istanze radicali, ha provato a trattare e a mediare dall'interno, attenuando ed in alcuni casi interrompendo il suo rapporto con i movimenti e con la società organizzata. Quel tentativo si è infranto sul muro dei rapporti di forza politici e sociali, decisamente sbilanciati verso i poteri forti. La risposta nel “cielo della politica” si è rivelata impotente e “incompresa”, approfondendo le distanze con la società organizzata, fino all'esito disastroso delle scorse elezioni politiche. E intanto è venuta avanti, senza una reale resistenza, una tendenza reazionaria di massa, nutrita dal consenso per il pugno d'acciaio, per la tolleranza zero, per l'uomo forte. Del resto non è la prima volta che ciò accade, e il “ventre” da cui, nella vecchia Europa, nacque il nazifascismo “è ancora gravido di mostri”.
La precarietà esistenziale di questa “bella modernità” chiede risposte: e se il centro sinistra non ha saputo che balbettare, le destre offrono ricette spietatamente efficaci, che pescano nei bassi istinti, nei miti della sicurezza e delle piccole patrie, della razza e del “me ne frego”. La militarizzazione della “questione rifiuti”, la durezza della reazione esemplare a Chiaiano, con la violenza poliziesca apparentemente gratuita, ma invece dosata esattamente per sottolineare l'efficacia decisionista; l'esaltazione del tema della sicurezza in chiave anti-stranieri, la rapidità con cui il governo delle destre sta mettendo sul tavolo le proprie ricette xenofobe, rispondono coerentemente all'obiettivo di ricostruire, nella contrapposizione con il diverso, una identità collettiva e nella soluzione dei problemi certezze, seppure misere, aprendo, volutamente o meno, ma questo è secondario, il “vaso di Pandora” dell'odio razziale: i pogrom anti-rom a Ponticelli e il raid punitivo al quartiere Pigneto a Roma contro i migranti non sono stati certamente avvenimenti inattesi. Non era in discussione il se, ma solo il quando. E altri ne verranno.
Dentro questo quadro generale se la reazione della sinistra politica, nelle sue diverse articolazioni, fosse un rinchiudersi dentro le proprie mura, i propri riti, le proprie insopportabili querelle, anch'essa alla ricerca di qualche certezza, peraltro necessariamente misera, sarebbe non solo un suicidio politico, ma anche un venir meno grave ai compiti storici che questa fase, volenti o nolenti, ci affida. E' necessario invece riprendere il duro e faticoso lavoro della costruzione sociale, del radicamento, della organizzazione, dello stare dentro le masse popolari. E per riprendere questo percorso non basta semplicemente l'autocritica “del linguaggio” e “delle forme”, o, ancora, la “riflessione generale” sul primato della prassi: si tratta piuttosto di praticarlo direttamente e per davvero.
Questo significa in concreto sul nostro territorio che “i silenzi” e “le assenze” devono cessare immediatamente. Devono cessare sulla precarietà e l'insicurezza del lavoro, costruendo capacità di intervento e sostenendo l'autorganizzazione dei soggetti sociali, difendendo i presidi di altra democrazia non delegata che sono i centri sociali, le associazioni, i comitati. Devono cessare sui migranti, non per costruire solidarietà pietista, ma una alleanza "di classe" dentro il percorso per un nuovo movimento operaio; devono cessare sul Macrico e l'assetto del territorio di questa città e di questa provincia, valorizzando la progettualità sociale e dal basso che si è espressa in questi anni; devono cessare sull'emergenza rifiuti, sull'immobilismo e sui condizionamenti affaristico-clientelari negli enti locali, anche qui valorizzando pienamente le esperienze dell'autorganizzazione sociale.
Per questo riteniamo necessaria e urgente una ripresa del confronto sulle cose da fare, innanzitutto, senza escludere anche la discussione “sui massimi sistemi”, ma dando priorità alle questioni e alla cultura del fare. E facciamo una proposta: dedicare una giornata, entro una quindicina di giorni, ad un incontro tra sinistra politica, tutta quella interessata, i suoi rappresentanti istituzionali ed i movimenti, le associazioni, i comitati. Per stabilire un piano di lavoro minimo, senza mettere il carro davanti ai buoi, ma senza nemmeno eludere la necessità della costruzione di una rete che provi, oggi, di fronte all'oscurità dilagante, a farsi trincea resistente; e che, nel costruire società, ragioni anche di un altro mondo possibile.
Giosuè Bove, Umberto di Benedetto
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