E' proprio vero che dio acceca chi vuole smarrire. In questo rumoreggiare distratto e superficiale ho visto, in questi giorni, trasformare la discussione sul nostro destino in mitragliate di rancore; ed un "naufragare amaro" in un autismo incapace di ascoltare le parole e di leggere i gesti se non con decodificazioni dietrologiche. E, a scanso di equivoci, non sto parlando se non di me, senza alcuna intenzione di ergermi a giudice di altri. Certo, lo scontro sulle idee è duro; ed è necessariamente duro perché la realtà, nella sua insopportabile e irriverente crudezza, ci consegna ad un bivio storico: e per quanta convinzione ognuno di noi ci metta nel difendere le proprie tesi, ci rendiamo tutti conto, ne sono certo, che la situazione sarà comunque difficilissima.
Abbiamo di fronte il montare di una reazione di massa, di una cultura da basso ventre. Di una politica del "me ne frego", sintonica con l'egoismo sociale da ipermercato troppo pieno. Vetrine luccicanti e miseri sentimenti di superiorità disegnano uno spazio in cui persino la possibilità della rappresentazione politica dell'agire per la trasformazione sociale sembra sfumare dentro il ribollire delle piccole patrie, del "sto prima io", della merda familistica. Proprio il totalizzarsi del rapporto di capitale nella fase della globalizzazione, la mercificazione non solo delle cose, ma anche dei corpi, delle idee, delle rappresentazioni e, soprattutto, proprio la sua crisi odierna esalta l'impossibilità della liberazione dentro i confini di questa società e toglie il respiro alla possibilità di una rappresentazione solo "politica" dell'oltre, tenta di chiudere con il filo spinato "l'essere in questo mondo, ma non di questo mondo".
Per questo mi sembra un errore insistere con ricette "politiciste", cioè che vivono sostanzialmente nel cielo della politica, e con la personalizzazione delle posizioni. Per questo sosterrò con la convinzione possibile, quella cioè permeata dal dubbio come metodo e come sostanza, la linea politica che propone di salvare una presenza "comunista" e dunque rivoluzionaria, e di svilupparla, coniugandola innanzitutto dal lato dell'autorganizzazione sociale. Per questo mi sembra giusto porre davanti l'utilità nostra, l'utilità collettiva, non di un singolo ma di una comunità.
Ma allo stesso tempo, in nome dell'unico dio che intendo servire, proprio il dio clemente e amorevole del dubbio, io vorrei essere gentile. Non mi appello agli altri, sottintendendo un giudizio: ma a me stesso. Devo essere gentile, per capire, per non impoverire oltre questo agire e pensare; per sentirmi egoisticamente più ricco, devo essere gentile. Cedere il passo, ed essere il primo a farlo; sorridere se si urla, parlare a bassa voce. Non che sia dotato di queste virtù, ma adesso è il momento di cercarle, di trovarle, nel profondo dell'animo.
Facciamo di questo nostro discutere un momento lungo e paziente di ascolto, organizziamoci per sentirci. Dovunque possibile, non per l'obbligo del volersi bene, ma per il rispetto che merita la nostra storia, per la speranza che merita questa umanità.
Giosuè Bove
movimentazione / il dibattito
sabato 31 maggio 2008
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