Nel corso del 2006 la SVIMEZ ha festeggiato i 60 anni della sua attività di ricerca e documentazione sui problemi del Mezzogiorno. Era nata nel 1946 ad opera di un gruppo di meridionalisti in cui spiccavano Rodolfo Morandi e Pasquale Saraceno, che ne fu presidente dal 1970 al 1991. Erano entrambi del Nord . Oggi è raro che uno studioso nato al Nord si occupi del Mezzogiorno. Prevale nel sentimento e nell’opinione pubblica del Nord, così come nella politica e nell’economia, l’idea che il Sud è un problema marginale se non addirittura un peso per lo sviluppo del Paese. Una vera e propria dissoluzione del Sud d’Italia dal discorso economico e politico.
Partecipando due anni fa a quella ricorrenza il capo dello Stato, Giorgio Napolitano, rivendicò una politica nazionale volta a risolvere sia pure gradualmente i problemi del Mezzogiorno. Problemi attuali e al tempo stesso complessi. Anche il voto di Aprile ha confermato che i tempi per questo impegno non sono troppo favorevoli e già i passi del governo precedente non avevano sostanzialmente impresso alcun impulso nuovo. A ciò tra l’altro ha concorso negli anni il declino delle forze politiche a insediamento diffuso su tutto il territorio e ciò ha penalizzato il Sud privandolo in realtà di rappresentanze effettivamente riconosciute e rispettate a livello nazionale e privando contemporaneamente l’Italia di una visione unitaria dei problemi del Paese
LA SITUAZIONE ECONOMICA
Venti gelidi soffiano sull’economia italiana, più freddi ancora quelli che spirano sulle regioni del Mezzogiorno. Il Fmi nel rapporto pubblicato agli inizi di Aprile prevede che quest’anno l’Italia crescerà di poco o per niente, meno dell’1%, mentre l’inflazione sarebbe destinata a stabilizzarsi al di sopra del 2%. Le cause del rallentamento della crescita sono comuni All’Italia e ad altri paesi europei. Le ripercussioni della crisi finanziaria internazionale avviatasi negli Usa nella seconda metà del 2007, l’euro diventato moneta forte che scoraggia le esportazioni europee, una politica monetaria restrittiva della Banca centrale europea che non aiuta gli investimenti. I prezzi intanto aumentano trascinati dal petrolio e dalle materie prime la cui domanda internazionale cresce perchè trainata dai redditi e dalle produzioni dei paese emergenti, prime fra tutte Cina e India, e perché la speculazione finanziaria si è spostata sui mercati dei beni primari dopo aver abbandonato i mutui sulle abitazioni, i titoli di borsa, i crediti derivati. Nel caso italiano ha inciso anche la situazione politica rimasta incerta in tutto il biennio 2006 – 2007 e che ora ha trovato una decisa soluzione a destra che se stabilizza il quadro ne apre nuovi motivi di difficoltà e inquietudine.
LA CONDIZIONE DELLE REGIONI MERIDIONALI
In questo quadro le regioni meridionali risultano le più colpite anche a causa di difficoltà storiche e delle criticità odierne, si pensi alla crisi dei rifiuti in Campania, al calo generalizzato in tutto il Sud della domanda di turismo, alla stessa flessione delle vendite dei prodotti agroalimentari,
La Campania quest’anno si avvia ad una crescita zero del Pil, ad un ulteriore calo dell’occupazione regolare, accompagnato da fenomeni di scoraggiamento che investono soprattutto le componenti più deboli ( giovani e donne ) le quali si ritirano dal mercato del lavoro regolare. Ad una inflazione più alta della media italiana anche a causa di un sistema distributivo inefficiente. Così come particolarmente critica è la situazione delle famiglie che si situano al di sotto della soglia di povertà ( un quinto di tutte le famiglie della regione) e delle famiglie monoreddito che prevalgono ampiamente sul totale. E dalla Campania – così come da altre regioni del Mezzogiorno – è ripreso un flusso di emigrazione interna, soprattutto di giovani e ragazze istruiti, che sfiora ormai i livelli quantitativi degli anni ’60.
LE POLITICHE DEI GOVERNI RECENTI IL GOVERNO BERLUSCONI
Tutti i governi che si sono succeduti negli ultimi 10 – 12 anni hanno avuto , pur con lievi differenze, un forte segno di disattenzione al Mezzogiorno e perfino di ostilità. E il governo che si è appena insediato nasce con l’obiettivo dichiarato di completare per conto della Lega quel federalismo fiscale di cui quel partito ha fatto la principale sua ragione di presenza e di esistenza. Se la capacità di spesa delle Regioni viene strettamente collegata alla loro capacità di raccolta fiscale è chiaro che le regioni più ricche, che raccolgono più risorse, che hanno un Pil più elevato, avranno più risorse da investire in servizi e sviluppo, le più povere lo diventeranno ancora di più. Recenti dati diffusi dalla Banca d’Italia chiariscono bene come la spesa delle Amministrazioni locali della Campania rispetto alla popolazione è significativamente più bassa della media delle regioni a statuto ordinario mentre quelle a statuto speciale spendono più del doppio. Gli stessi dati indicano che la spesa pubblica in tutto il Mezzogiorno ha subito una caduta verticale. E dati Svimez recenti confermano queste tendenze. Lo stesso vale per le spese in conto capitale complessive del Mezzogiorno che risulta di molto inferiore agli obiettivi programmati ritenuti gli obiettivi minimi necessari per fronteggiare le normali esigenze di una così grande parte del Paese. Dati che parlano dunque della mancanza di un disegno nazionale per il Mezzogiorno, dello strangolamento di regioni ed enti locali meridionali, del mancato cofinanziamento dell’unica legge oggi esistente in Italia, quella della Campania, che, pur nei limiti noti, esercita un contrasto alla povertà tramite un reddito di cittadinanza e un previsto pacchetto di servizi gratuiti. Dati che parlano anche di una difficoltà seria della classe politica meridionale che – anche a sinistra – più che studiare e capire i dati della realtà – ha spesso insistito in forma propagandistica e provinciale sulle criticità tutte interne al Mezzogiorno, certo esistenti, enfatizzandole però oltre misura concorrendo ad indebolire ulteriormente la già fragile percezione nel senso comune del Paese di questa parte dell’Italia.
IL SALARIO SOCIALE
Sul federalismo fiscale e sulle forme, anche più estese, di salario sociale occorre invece suscitare un grande movimento di opinione e di massa che muova dal Mezzogiorno investendo movimenti di disoccupati, sindacati, amministrazioni locali democratiche, quelle che ancora per fortuna non sono state travolte dalle destre e che vanno orientate in uno sforzo sempre di più geopolitico di coagulo di forze e di istanze di mobilitazione meridionalista. La giusta attenzione alle politiche locali, alle scelte delle amministrazioni, alla nostra autonoma iniziativa sociale e politica critica, non deve incorrere nell’autolesionismo di evitare di investire su questo terreno per costruire l’opposizione sociale e politica al governo Berlusconi e in essa valorizzare le proposte del Mezzogiorno d’Italia. Non si tratta di sottovalutare le contraddizioni locali ma di saperle risolvere dentro una spinta tesa a cambiare la politica economica del Paese, riprendere un adeguato flusso di spesa verso il Sud, orientarne con politiche pubbliche lo sviluppo, riorganizzarne il riscatto economico e sociale.
Con questo respiro si comprende meglio anche perché i fondi europei hanno inciso così poco sul dato macroeconomico e che i comuni, tanti, in assenza di trasferimenti ordinari hanno utilizzato le risorse straordinarie sugli interventi ordinari. Per questo va fatto una battaglia perché la programmazione per i prossimi sette anni vada ispirata a criteri di concentrazione di risorse e di opere in modo da superare la frammentazione della spesa e produrre interventi più capaci di produrre segnali forti sul piano dell’occupazione e della qualità sociale ed ambientale.
Se si vuole dare una densità alla ricostruzione del Prc e della sinistra nell’opposizione alle politiche del governo delle destre non si potrà sfuggire a una grande battaglia del Mezzogiorno nei confronti delle scelte, da anni delineate, dello Stato centrale al di là dei diversi governi che lo hanno guidato. Movimenti, rappresentanze sindacali, amministrazioni locali democratiche, a partire da Campania e Puglia che devono definire tra loro un più stretto rapporto operativo. Se il federalismo fiscale è così iniquo, se non ci sono scelte di indirizzo produttivo anche per dare una base produttiva materiale e di infrastrutture di qualità ad una realtà così vasta del Paese, se non ci sono misure di sostegno al reddito, perché tanta timidezza con le scelte fatte in questi anni a Roma ?
In un paese che si spezza, che è attraversato drammaticamente da una nuova acutissima questione sociale del lavoro salariato e delle sue moderne subordinazioni che trovano oggi riferimento a destra. Con gli squilibri sociali e territoriali che alimentano conflitti che sempre più spesso non incrociano politica e istituzioni, con il baratro cosi ampio tra politica e paese, la consapevolezza dei pericoli di forzare un conflitto da una parte del Paese deve essere presente. E però qualche scelta occorre farla.
CONTRO LO SVILUPPO DIPENDENTE PER UN MOVIMENTO MERIDIONALISTA SU BASI SOCIALI E GEOPOLITICHE
Attestarsi solo sul proprio territorio senza andare più a fondo ai nodi aperti sull’indirizzo del paese fa correre il rischio di subire l’implosione, l’isolamento, la crisi sotto il peso di contraddizioni e di problemi che non si riescono a risolvere senza aprire un’altra prospettiva economica e sociale.
Le destre tentano ormai da anni con la spinta della Lega a svolgere dal Nord questo ruolo e ora ad insinuarsi anche nel Mezzogiorno con operazioni come quella del movimento di Lombardo. Serve a sinistra, fuori da contrapposizioni tutte localistiche che rischiano di muoversi sugli indirizzi dettati dalle destre, una diversa capacità, sia al Nord che al Sud, di comprendere meglio le condizioni sociali dei rispettivi territori e costruire, dentro una linea nazionale, l’autonomia delle vertenze e delle prospettive delle diverse parti del Paese.
Quello che ci serve è un progetto vero per il Sud, un progetto capace di avere l’ambizione grande di forzare i vincoli della storica dipendenza economica . E per questa via intaccare un quadro sociale ed economico in cui persiste e anzi si accentua la presenza e il peso delle organizzazioni criminali. Un Mezzogiorno che restasse confinato nel suo destino storico di area di consumo, di manodopera a basso costo cui si destinano i segmenti poveri e nocivi della produzione e in cui il modello della precarietà del lavoro non può non avere un effetto sociale più devastante che altrove, non ce la farebbe a trovare anticorpi materiali al potere criminale che non si può contrastare solo con la pur necessaria rivolta etica e morale
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